Dopo una piacevole passeggiata accompagnata da una provvidenziale birretta giungiamo di fronte al luogo dove a breve si terrà il concerto, ossia il “Transilvania Live” in zona San Siro e come ogni Transilvania che si rispetti è un buco (la preoccupazione per la temperatura si fa strada prepotentemente nei miei pensieri), ma fortunatamente l’affluenza per il momento non è eccessiva.
L’ organizzazione si dimostra però non troppo lungimirante o semplicemente non troppo efficiente, infatti il gruppo di apertura, ossia i Trail Of Tears si sono trovati a suonare metà concerto (metà dei 40 minuti che erano stati loro concessi) in quasi completa solitudine perché i cancelli sono stati aperti alle 19 con tipo due ore di ritardo (immagino il flusso dei pensieri di coloro che volevano stare a tutti i costi in prima fila e saranno arrivati alle 16,30).
Del primo gruppo si fa giusto in tempo a capire che hanno dei volumi che, a parte l’ottimo suono della batteria, sono degni di una festa della birra dopo la dispensa di 15 litri gratis: Voci approssimative, chitarre inesistenti e basso alle stelle. Dal canto suo la band non suona male, forse sono superflui i due cantanti (in teoria uno adibito a voce pulita, l’altro al grattato) che si rendono entrambi autori di una performance non più che mediocre. Non riescono ad intrattenere alcuna relazione diretta col pubblico che resta piuttosto passivo. Il contesto non è comunque spiacevole vista anche una temperatura quasi gradevole.
Giungono i Tristania, piuttosto attesi ed i Trail Of Tears si dissolvono nell’ grigio e sbiadito antro dell’ oblio.
L’attacco è quasi a sorpresa dopo un cambio di strumenti degno di un pit stop della Ferrari, da due cantanti si passa a tre, ossia voce pulita e bassa maschile, medio-alta e grattata sempre maschile e in fine voce femminile. Ora, io non so se avete presente la cantante dei Tristania, se non ce l’avete presente andatevi a vedere le foto (anzi, andate in ogni caso che meritano) … visto? Ecco, non serve che replichi i commenti che si sono levati dalle bocche non troppo sante dei presenti. Tralasciando questi aspetti lo spettacolo è interessante e abbastanza compatto, le esecuzioni vocali sono buone, ma perfettibili, in particolare quella “aggressiva” ed alle volte si fatica a distinguere dove arriva la voce e dove parte il sample; il monopolio dell’attenzione va sicuramente all’ ipnotica cantante che (a parte i discorsi di prima, ai quali peraltro non sono affatto immune, visto che di carne son fatto) è la prima a tentare di comunicare direttamente col pubblico, anche se devo dire che rimane un tentativo molto, molto discreto, quasi si muovesse in punta di piedi per non disturbare. La reazione del pubblico è decisamente più calorosa rispetto alla band precedente, ma non giunge ad essere entusiastica.
Tocca finalmente ai Therion e l’ orario tutt’altro che tardo suggerisce uno spettacolo di una certa consistenza, e così è. Tutto è curato nei minimi dettagli, dal suono (che stavolta è assolutamente impeccabile) ai tempi di stacco tra una canzone e l’altra. Appena inizia il loro concerto è chiaro che sono su un altro livello rispetto ai presedenti, amalgamano infatti ottimi brani ad una precisione impressionante (che devo dire, mi ha lasciato senza parole). Ogni musicista da prova di capacità considerevoli sia individuali che in un ottica generale, nessuno perde mai un colpo o resta indietro e ciascuno si fonde perfettamente con gli altri. I personaggi che spiccano sono il chitarrista solista Kristian Niemann, anche se in alcuni punti un po’ ripetitivo, la prima corista veramente grande nelle capacità, ma purtroppo per lei anche nelle dimensioni ed il cantante maschile principale, autore di una prestazione eccezionale sia dal punto di vista tecnico, che da quello dell’atteggiamento sul palco, notevole pure la presenza di un coro di 4 elementi che permette una riduzione nell’ uso di sample in favore di una performance decisamente più onesta. Altro animale da palco scenico è il chitarrista ritmico ed autore di gran parte dei pezzi Christopher Johnsson, che , forse perché troppo impegnato a scrivere le parti degli altri, lascia a se stesso parti minimali che non gli rendono il dovuto merito, comunque lui le esegue lo stesso con grande trasporto. Il pubblico di certo percepisce l’alchimia che si è creata e risponde agli inviti della band senza però andare oltre la giusta misura col pogo; adesso la sensazione di essere ad un Concerto (e sottolineo la C) c’è tutta, il locale nel frattempo si è riempito ed la temperatura aumenta. Dopo 16 pezzi la band se ne va promettendo di tornare, le testuali parole ” See you later” di Johnsson tradiscono l’intenzione del gruppo di ripresentarsi sul palco per suonare qualche pezzo subito dopo, e così infatti accade che il gruppo torna sui suoi passi ed esegue altri due pezzi. Complimenti ai Therion anche per l’ottimizzazione degli spazi perché facendo due conti, su quel palco non proprio sconfinato ci stavano e si muovevano in dieci.
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Report a cura di Lorenzo Canella
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