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Hellfest Open Air - Day 3 - 6/21/2009 - *** - Clisson (FR)

Hellfest Open Air (19-20-21/06/2009) Clisson – Francia

Domenica 21/06/2009

Purtroppo questo è l’ultimo di questi tre giorni di grandissima musica e comunità metallara, vediamo dunque di godercelo a fondo.
Iniziamo questa strepitosa giornata all’insegna dell’estremo, andiamo infatti a vedere gli Aborted, band che sta raccogliendo velocemente sempre più consensi, non è caso il pubblico sotto il palco nonostante l’ora è veramente numeroso e accanito. La violenza sprigionata dai giovani belgi è parecchia e restare fermi è pressappoco impossibile, anche solo per un semplice headbanging. I brani proposti spaziano qua e la tra tutta la discografia, anche se vengono preferiti i più recenti, da segnalare per la particolare potenza “Ophiolatry on a Hemocite Platter” e “A Methodical Overture”, che testualmente raccolgono l’eredità dei maestri Carcass, musicalmente sono in grado di fare anche più macello. Buona prova dunque, gli Aborted si dimostrano una band che sta raccogliendo bene quello che semina.
Giusto il tempo di mettere qualcosa sotto i denti e poi diretti verso il Mainstage 2 dove stanno per esibirsi i danesi Volbeat, altra grande promessa del panorama europeo che sta riscuotendo enorme successo sia tra le nuove leve e la vecchia guardia. Poulsen fa il suo silenzioso ingresso sul palco seguito dagli altri musicisti e subito si attacca con le note di “Guitar Gangsters & Cadillac Blood” seguita a ruota da “Hallelujah Goat”, estratte dall’ultimo omonimo album della prima traccia. Subito i ragazzi ci fanno vedere il loro ottimo stato di forma, e nonostante il pubblico sia ancora mezzo addormentato e forse stanco dai giorni precedenti la risposta è comunque ottima, soprattutto sui ritornelli oramai amatissimi di “Sad Man’s Tongue”, “Radio Girl” o della più country “The Human Instrument”, dove i danesi si scatenano, Poulsen deve molto al secondo chitarrista e al bassista, sempre in movimento e abili intrattenitori del pubblico. Chiude questo frizzante show la “I Only Wanna Be With You”, cover di Dustin Springfield e poi un regalo per tutti i presenti, l’attacco iniziale di “Raining Blood” degli Slayer con cui la band si congeda visibilmente soddisfatta della propria prova.
Torniamo alla Rock Hard tent, tocca ora ai Kataklysm di Maurizio Iacono, che portano sul palco il classico show puntato al massimo sulla potenza sonora e il devasto totale del loro death groovy. In realtà da dire c’è veramente poco, la band è abbastanza in forma, purtroppo penalizzata da dei suoni non troppo chiari anche se comunque neanche troppo confusionari, anche in questo caso poi la setlist è composta da brani prevalentemente recenti, si passa da “As I Slither” a “Prevail”, da “The Chains Of Power” a “Like Angels Weeping (The Dark)”, fino ad arrivare alla doppietta distruttiva finale composta dai tank dell’armata Iacono, “In Shadow And Dust” e “Serenity In Fire”, scatenando poghi e circle pit funesti. Insomma uno show non troppo esaltante ma comunque gradevole e d’impatto.
Tento di buttare un occhio ai Dragonforce ma non riesco a resistere oltre i 30 secondi, è più forte di me, torno dunque sotto la tenda per assistere ad un altro attesissimo concerto di questo festival, quello degli olandesi Pestilence, forti di reunion e del nuovo album, accolto abbastanza freddamente dai fan, anche se personalmente l’ho trovato molto buono. Se sull’album Mameli, Choy e gli altri avevano mezzo deluso, sul palco zittiscono tutti, la loro performance è infatti di grande spessore sia a livello di brutalità che di tecnica. Gradita la scelta di limitare gli estratti da “Resurrection Macabre”, vengono infatti proposti solo “Devouring Frenzy”, posta in apertura, “Horror Detox” e “Hate Suicide”, quest’ultima con l’assolo finale di batteria targato Wildoer, una vera prelibatezza. Inutile negare che comunque questi nuovi pezzi in sede live hanno un impatto decisamente splendido, ma a far saltare sono “Chemo Terapy”, “Process of Suffocation” e “Mind Reflections”, comandamenti per gli amanti della band e del technical death. Non mi soffermo sull’immensità dei musicisti, l’emozione nel vedere Choy all’azione per la prima volta è paragonabile a quella di un bambino che scarta i regali a Natale. In chiusura vengono proposti altre due mazzate quali “Land Of Tears” e “Out Of The Body”, scatenando un massacro collettivo che saluta in degno modo il ritorno dei Pestilence sulle scene dopo tanti anni. La classe non è acqua.
I miei istinti nostalgici prendono il sopravvento, e così tra Destruction e Stratovarius scelgo di andare a vedere i secondi, dato che non li ho mai visti e hanno coperto una grossa fase della mia crescita musicale. Sinceramente della questione Tolkki me ne infischio altamente, se il nuovo chitarrista è in gamba ben venga, mi apposto dunque sotto il Mainstage 2 per la loro esibizione. Il concerto si apre sulle note di “Hunting High & Low”, che mi rievoca piacevoli ricordi e mi invoglia a cantare sulle sue note, segue un nuovo brano ovvero “Deep Unknow”, accolto tutto sommato calorosamente dai presenti e suonato veramente bene, subito mi accorgo che Matias, il giovane nuovo chitarrista, è dotato di una straordinaria tecnica che musicalmente fa rimpiangere ben poco l’ex leader della band, come presenza scenica invece c’è ancora da lavorare ma tutto a suo tempo, non si può pretendere tutto e subito. A seguire vengono suonati in fila solo pezzi storici, per la mia gioia e presumibilmente per quella di tutti, “Kiss Of Judas”, la veloce “Speeds Of Light” la meno recente “Winter” e “Phoenix” ci dimostrano quello che gli Stratovarius sanno fare, e per me che oramai non seguo più la scena power risultano comunque delle vere e proprie perle splendenti, composizioni eccezionali che rimarranno per sempre impresse nella storia di questo genere musicale. In chiusura troviamo altre due gemme, “Eagleheart” ma soprattutto la monumentale “Black Diamond”, cantata da tutti, nessuno risparmiato. Applausi meritati per il ritorno degli Strato, autori di un concerto energico e convincente.
Alla Rock Hard tent ci aspetta un altro appuntamento da non perdere, è l’ora infatti dei Cathedral di Lee Dorrian, band storica sia per il doom che per lo stoner. Gli inglesi mancano dalle scene oramai da diversi anni e molti sono accorsi per vederli, i presupposti per una bella oretta di concerto dunque ci sono tutti. “Ride” apre le danze, si vede fin da subito un Lee particolarmente esaltante, mai un attimo fermo per tutto il concerto con i suoi famosi passi da sabba nero, non si può certo dire lo stesso dei musicisti, quasi totalmente assenti come presenza scenica, ma fortunatamente autori di una prova tecnica musicale al di sopra delle righe. Riff pesanti e decisi vanno ad accompagnare “Utopian Blaster”, pezzo che muove i sederi di tutti i presenti, seguita “North Berwick Witch Trials” e “Corpsecycle”, estratte dall’ultimo lavoro in studio, anche esse con un ottimo impatto live. C’è spazio anche per i gioiellini degli EP della band di Coventry, le sempre graditissime “Soul Sacrifice” e la funeraria “Cosmic Funeral”, che segnano sicuramente il punto caldo dello show. Sul finale altri due pezzi di storia, che rispondono al nome di “Vampire Sun” e “Hopkins (The Witchfinder General)”, cantatissime da tutti i presenti. Una prestazione dunque riuscitissima che ha messo in risalto la personalità del diabolico frontman e l’immensità strumentale della coppia Gaz-Smee, una ventata di stoner/doom ci voleva proprio! She’s ready to the sabbath? Signs of with! I’m Mattew Hopkins, witchfinder.
Un pezzo di storia del rock si sta per esibire sul Mainstage 1, Joey Tempest coi i suoi Europe è infatti pronto a far saltare il pubblico francese. Non conosco affatto la band se non per i soliti classici, eppure la curiosità era talmente alta che sono stato incollato per un ora alla loro esibizione, complice anche l’energia emanata dal frontman, un maestro del palcoscenico. Tra brani vecchi e più recenti viene dunque proposta una setlist molto varia, si alternano pezzi energici di puro rock a ballad lente che solo chi viene dagli ’80 sa comporre. Come gia detto il punto forte è Joey, abile musicista, intrattenitore e immenso cantante, mai fermo sul palco. Ovviamente l’apice dello spettacolo è stata la parte finale, dove di fila sono stati eseguite le monumentali “Rock The Night” e “The Final Countdown”, quest’ultima diventata oramai una degli inni del rock con il suo famoso ritornello, cantato da tutto il pubblico di Clisson, sicuramente uno dei momenti memorabili di questo Hellfest 2009.
Dal rock nostalgico degli Europe al crossover/thrash dei Suicidal Tendencies, altra band attesissima dal pubblico. Anche in questo caso i musicisti sono in forma grandiosa, soprattutto il frontman Mike Muir, anche per lui passano gli anni ma di energia ne ha da vendere. L’esibizione proposta è la classica che ci si possa aspettare da una band crossover, molti brani di breve durata ma d’effetto devastante, pescati qua e la dall’intera discografia dei californiani, non mancano di certo i violenti poghi tradizionali, un vero peccato l’impossibilità di stage diving dovuta alle altissime forme di sicurezza e al bel distacco tra palco e pubblico. C’è poco da dire, un’oretta di devasto ignorante e grezzo che i fan più accaniti ricorderanno a lungo, il tutto fino al colpo di scena finale, nel bel mezzo di “Pladge Your Allegiance”, posta in chiusura, Mike invita il pubblico a salire sul palco ed ha così inizio un enorme esodo che riempie in pochi secondi il Mainstage 2 dell’Hellfest fino all’orlo, così decine di fan protagonisti, a fianco dei loro idoli, danno vita a un coro possente che richiama a sé tutti gli occhi del pubblico francese, anche di chi non stava seguendo minimamente lo show. I Suicidal Tendencies sono stata l’unica formazione in questa tre giorni a strappare un applauso (enorme) anche a chi non apprezza la loro musica, a persone del genere bisogna solo mostrare tanto di cappello. SD!! Pledge your allegiance! SD!! SD!! SD!!
Per prendere posto con i Manowar mi tocca vedere all’opera i Dream Theater, c’è di buono che non li ho mai visti live quindi mi metto “comodo” a vedere cosa combinano, un’opportunità non la si nega mai. La loro performance potrebbe essere descritta in una semplice parola, ovvero virtuosismo, già perché di altro non si tratta, i newyorkesi regalano un’ora di musica raffinata dove gli interventi vocali di James LaBrie sono ridotti al minimo, sarà stato sul palco per poco più di 20 minuti, giusto il tempo per cantare la nuova “A Rite Of Passage” e un paio di altri pezzi. Per il resto non vi sono stati grandi colpi di scena, oltre alla new entry la setlist ha visto tra le altre le raffinatissime “Erotomania”, “Voices” e una tiratissima “Metropolis part 1”, condita da infiniti assoli e jam tra Petrucci e il buon Rudess, unico vero grande spettacolo a parere mio di questa loro esibizione, devo ammettere che il tastierista è davvero un portento, non capisco perché molti fan della band, quando c’è da elogiarla, non lo nominano quasi mai. Così, tra mille colori e note tecniche degne dei più completi musicisti di sempre, si chiude uno show forse un tantino noioso ma comunque di grosso impatto musicale, il teatro dei sogni saluta il pubblico francese dando appuntamento al Progressive Nation Tour.
Dalla raffinatezza alla musica in your face, è tempo degli Hatebreed, che mi godo da una posizione un tantino scomoda ma comunque nella norma. Jamey Jasta e compagni risvegliano tutti con il loro hardcore diretto e senza tanti giri di parole, si parte quindi a razzo con “This Is Now” e “Never Let It Die”, che creano subito violenti poghi caratteristici dei concerti degli americani, l’ultimo sforzo fisico di questo festival devastante. Il frontman è in perfetta forma e col passare del tempo diventa sempre più abile a tenere il palco, che abbia voluto fare bella figura davanti a Mike Muir, uno dei suoi idoli? Il ringraziamento ai Suicidal per il loro show è segno di grande stima, si procede poi con “Thirsty & Miserabile”, cover dei Black Flag, si susseguono poi una serie di mazzate sul collo, i brani degli Hatebreed sono tutti molto corti e d’impatto quindi la setlist risulta abbastanza amplia, giusto ricordarsi “Doomsayer” e “To The Threshold”, che scatenano il putiferio sotto il palco. Sul finale Jasta si congratula con tutti i presenti, accorsi in parecchi a vedere la band, per concludere poi in bellezza o sarebbe meglio dire in brutalità, vengono proposte “Live For This”, “I Will Be Hard” e “Destroy Everything”, trasformando la platea in un inferno di terra volante e persone impazzite. Gran concerto quindi, la degna conclusione a livello estremo del nostro personale Hellfest.
Signore e signori, in alto le mani, tocca a loro! Ebbene si, dopo 7 anni di assenza dal territorio francese sono qui con noi questa sera i kings of metal, i Manowar! Da buone primedonne quali sono, DeMaio, Adams, Logan e Hamzik si fanno aspettare, ma poco dopo la una salgono sul palco, pronti per il loro concerto, che parte a razzo con la doppietta “Manowar” e “Blood Of My Enemies”, scatenando un pubblico gremito e invasato venuto da ogni parte d’Europa per loro, parecchie infatti sono le bandiere di diverse nazionalità, tutte riunite sotto il segno del metallo dei Manowar. Eric Adams è in forma smagliante, vederlo cantare dal vivo è un emozione unica, alla sua età riesce ancora a fare acuti impressionanti, probabilmente chi lo critica non lo ha ancora visto dal vivo, ma loro le critiche non sanno neanche cosa siano, si va cosi avanti all’insegna del puro heavy metal fino alla grandiosa “Heart Of Steel”, cantata da tutti quanti in un’atmosfera di festa e fratellanza. Vengono proposte a sorpresa anche “Sleipnir” e “Loki God Of Fire”, potevano evitare per far spazio a qualche altro grande classico, ma pazienza, ci pensa “Kings Of Metal” a ridare adrenalina ai presenti, guai a non saperla a memoria. Il concerto dei Manowar non è solo musica, ma anche grande spettacolo, così DeMaio prende possesso del palco e si scola due birre di seguito senza prendere fiato, per poi regalarci un assolo di basso dei suoi, tecnicamente scarni ma unici e personalissimi, questo per introdurre “Fast Taker”, fino a quanto la band chiama sul palco un fan che sappia suonare la chitarra, il fortunato dopo essere stato privato della sua maglietta dei Metallica e rimpiazzata dalla divisa ufficiale del true metal (una maglietta dei Manowar) si sbevazza una birra con DeMaio e poi gli viene data una chitarra per suonare “The Gods Made Heavy Metal” assieme alla band. Prima dell’encore c’è spazio ancora per “Warrior Of The World United” e “Kill With Power”, poi una breve pausa e dopo un falso saluto finale viene suonata l’immancabile “Hail And Kill”, altro comandamento dell’heavy metal, al termine della quale il leader spacca le corde del suo basso e con un’immensa sboronaggine se ne torna nel backstage per poi tornare dopo poco e fare uno dei suoi immancabili discorsi sullo spirito metallico dei Manowar, chiamando sul palco gli organizzatori dell’Hellfest, che hanno riportato la band in Francia dopo 7 anni, a loro vanno gli applausi del pubblico e dell’intera band, che decide di regalargli le Balls Of Steel in versione gigante, tra le risate di tutti i presenti. Per dare una degna conclusione a questo grandioso concerto e allo strepitoso festival viene infine suonata “The Crown And The Ring”, con tanto di fuochi d’artificio sopra il palco e mega applauso finale, ultimo atto di tre giorni di grandissima musica e divertimento sopra ogni aspettativa.
E’ assurdo doversi fare tutti quei km per vedere i Manowar, eppure noi della combricola li abbiamo fatti e ne siamo totalmente contenti, i detrattori possono insultarli quanto vogliono e criticarli per la loro attitudine spesso non gradita, ma loro sono e sempre rimarranno i kings of metal, se vi piace la loro musica bene, altrimenti come insegna qualcuno: andate a farvi fottere!

Giungiamo infine alle conclusioni finali, conclusioni più che positive visto che il festival si è rivelato una sorpresa sensazionale, anno dopo anno l’Hellfest sta crescendo e ora può benissimo competere con altri grossi nomi europei come Wacken, Download e altri, organizzazione ottimale, suoni praticamente sempre perfetti, prezzi accedibili e amplia zona per acquisti vari di magliette, cd ecc…nota positiva anche per la zona campeggio, amplia e comoda, qualche doccia in più forse non sarebbe guastata. L’Hellfest 2010 gia promette scintille con i primi confermati, gli Immortal, sicuramente noi di holymetal ci saremo, il mio consiglio è quello di prendersi una bella settimana di ferie se possibile e andarci, ne vale veramente la pena!

Setlist Manowar:
01) Manowar
02) Bood Of My Enemies
03) Hand Of Doom
04) Call To Arms
05) Brothers Of Metal
06) Heart Of Steel
07) Sleipnir
08) Loki God Of Fire
09) Kings Of Metal
10) Bass Solo
11) Fast Taker
12) The Gods Made Heavy Metal
13) Warriors Of The World United
14) Kill With Power
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15) Hail And Kill
16) The Crown And The Ring

Report a cura di Thomas Ciapponi

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