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Gods Of Metal - Day 1 - 6/27/2009 - Stadio Brianteo - Monza

Il Gods Of Metal rappresenta come ogni anno l’appuntamento più caldo ed importante della scena heavy italiana. Il primo festival metal della penisola richiama ormai tantissimi affezionati da tutta italia e nonostante l’organizzazione ed i servizi offerti rimangano inferiori a molti festival europei, è innegabile come in tal senso il percorso sia in ascesa. La location scelta è quella dello stadio Brianteo a Monza, ambiente ideale, per ampiezza di spazi e varietà di soluzioni. Ottima la soluzione dei due palchi alternati, che consente un accorciamento dei tempi di attesa tra un concerto e l’altro, nonché la qualità del suono che dopo i primi minuti di assestamento all’inizio dei vari concerti è risultata apprezzabile per quasi tutte le band, un successo considerando il disastro dell’esperienza nello stesso posto del 2000 e le incertezze del 2002. Come al solito non sono mancate le magagne riconducibili alle code eccessive per mangiare, alla carenza di acqua o all’impossibilità di uscire dall’arena in qualsiasi orario. Venendo alla musica possiamo dire che l’edizione del Gods del 2009 sarà archiviata positivamente considerando la qualità media degli spettacoli e la varietà stilistica offerta, anche il clima ha giocato a favore concedendo una breve parentesi di pioggia solo nella giornata di sabato durante la performance dei Queensryche ed il consueto caldo per il resto della due giorni. Addentriamoci ora in maniera più approfondita sull’aspetto artistico del festival, con un breve ma intenso commento a tutte le band che hanno partecipato alla tredicesima edizione del Gods Of Metal.

Dopo The Rocker, Extrema e la figlia del maideniano Steve, Lauren Harris, è ora di Thrash: è ora di Voivod, pronti a scaraventarci, nella mezz'oretta loro concessa, nei lugubri meandri della psiche, come di consueto aggiungerei...
Via alle songs con l'omonima “Voivod”, pezzo grezzo e Venomiano, che serve subito a scaldare i presenti, i quali sembrano apprezzare l'operato del combo canadese. Che dire, Snake è in palla, tanto che segue i suoi brani con dei balletti veramente divertenti anche se non proprio in linea con bordate caustiche come “Tribal Convictions” o ancora “Ravenous Medicine”, che comunque tengono alta la tensione del breve concerto.
Dopo il coro “Piggy-Piggy”, sentito omaggio allo scomparso e storico Denis D'Amour, chitarrista dei Voivod per più di vent'anni, si prosegue fino alla cover finale, quella “Astronomy Domine” dei Pink Floyd che, veramente ci fa capire da dove il gruppo del Quebec attinga tanta linfa creativa! Senz'altro non una band da festival, ma comunque una gran bella apparizione...
(Alessio)

Sotto il sole cocente che accompagna il Brianteo in queste prime ore del pomeriggio eccoci al glam-punk disimpegnato dei Backyard Babies. La band svedese concede uno spettacolo di quaranta minuti carico di energia dove sono il sudore e l’energia a farla da padrone. Le canzoni non colpiscono certo per il quoziente di difficoltà o per esecuzioni sbalorditive dal punto di vista tecnico, quanto per una resa sonora efficace che trova nella cornice live la sua migliore interpretazione. Non servono suoni strabilianti per rendere al meglio la setlist della band scandinava, ma basta un equalizzazione discreta per permettere al pubblico glam accorso sotto il palco, di muoversi ed agitarsi al ritmo delle canzoni. L’apertura affidata a “Nomadic” è per la verità un po’ spompa nonostante il ritornello melodico e di facile presa anche per chi non ha mai sentito il pezzo, tuttavia già con le successive “Brand New Hate” e “Degenerated” il gruppo capitanato dal chitarrista Dregen si riscatta conducendo lo spettacolo sugli standard grintosi di sempre. Le note punk del classico “Dysfunctional Professional” chiudono uno show nel complesso positivo come dimostrano gli applausi che cadono copiosi e convinti da parte di tutto il pubblico.
(Teospire)

Gli Epica dimostrano nella loro performance pregi e difetti già individuati in altre occasioni. La band olandese suona compatta e offre una prestazione tecnica di livello. La band sembra coesa nonostante le partiture non siano delle più semplici, con l’aggiunta di una cantante bella e brava come Simone Simons che inevitabilmente cattura su di sé la maggior parte delle attenzioni. Buona per altro l’affluenza sotto il palco e la partecipazione a testimonianza di consensi sempre maggiori per questa gothic band in forte ascesa. Scaletta incentrata prevalentemente sull’ultima release in studio “The Divine Conspiracy” e limiti dimostrati da canzoni un po’ farraginose, talvolta articolate che trovano nella dimensione live ulteriori ostacoli di interpretazione.
(Teospire)

Sorprendente la performance di Marty Friedman, non ci sono altre parole per descrivere i tre quarti d’ora proposti dal chitarrista famoso ai più per la sua militanza nei Megadeth. Sono le tre del pomeriggio ed il sole picchia sulla testa che è un piacere, inutile dire che in simili situazioni climatiche un concerto interamente strumentale poteva costituire la classica mattonata. In realtà le cose sono andate ben diversamente con una prestazione godibile, grazie a canzoni che al di la dell’abilità tecnica del musicista statunitense e della sua band ha messo in mostra partiture dinamiche e coinvolgenti.
(Teospire)

Il carismatico Tobias Sammet sale con la solita verve sul palco del Brianteo con l’intento di portare una ventata di power metal scolastico al Gods Of Metal, le caratteristiche dei pezzi, soprattutto i più recenti, maggiormente incentrati sull’hard rock potrebbero far esplodere la folla a colpi di ritornelli sfrontati e melodie ad effetto. Tuttavia il condizionale è d’obbligo in questi casi poiché gli Edguy non sembrano in gran giornata ed il leader Sammet al di là della consueta presenza scenica non offre granchè dal punto di vista vocale. Il resto della band se la cava egregiamente dal punto di vista tecnico, lasciando invece qualche dubbio in più sullo scarso coinvolgimento che profonde nell’esecuzione delle canzoni. Accanto a brani più articolati come “Speedhoveen” o “Tears Of A Mandrake” gli Edguy propongono una scaletta costituita da autentiche hit che dovrebbero spaccare il mondo, invece come accennato poc’anzi, brani dal potenziale elevato come “Dead Or Rock”, suonata in apertura e “King Of Fools” non lasciano sensazioni granchè positive. Anche la sempre acclamata “Babylon” non incide come dovrebbe, tocca quindi alle doti di intrattenitore di Sammet e alla vivace “Lavatory Love Machine” il compito di salvare almeno in parte la prestazione della band teutonica.
(Teospire)

Non erano grandi le aspettative sul conto di Lita Ford. Sarà forse per questo motivo che la sua esibizione, la prima in carriera sul palco del Gods Of Metal, è parsa assai scintillante facendo ricredere i maligni che costruivano ipotesi meramente economiche sul ritorno in scena della Ford. Nell’ora a disposizione la cantante americana ci ha regalato un autentico viaggio nei fantastici anni 80’ con le sonorità tra l’hard rock e il class rock che l’hanno resa celebre nella sua parentesi solista. Lita si dimostra ancora in ottima forma sia dal punto di vista fisico che da quello musicale, interpretando con classe e qualità le varie canzoni. Il resto lo fa una band di grande spessore al seguito, che non sbaglia una virgola e interpreta le canzoni con un carisma non da tutti. All’interno di una scaletta incentrata sui dischi della sua carriera solista spiccano l’ottima “Don’t Catch Me” e il classico “Kiss Me Deadly”, mentre per l’interpretazione della celebre ballata “If I Close My Eyes Forever”, la bionda cantante chiede al pubblico di sostituirsi ad Ozzy che duettava con lei nella versione originale della canzone. Prima del congedo c’è ancora tempo per un inedito tratto dal nuovo disco della Ford, previsto per settembre, che lascia buone sensazioni anche per il futuro.
(Teospire)

Il concerto dei Queensryche al Gods Of Metal verrà ricordato per l’ottima esibizione della band americana ma forse anche per la pioggia che reso ancor più suggestivo lo spettacolo, fatto sta che Geoff Tate e soci non hanno sbagliato praticamente niente e ci hanno regalato uno spettacolo di tecnica, emozione e rabbia. La voce del leader dei Ryche è più che mai scintillante e riesce a rendere al meglio anche sulle partiture più alte, mentre il resto della band si dimostra compatta e ben affiatata. La scaletta inizia con tre canzoni eseguite dall’indimenticato “Rage For Order” e prosegue sulle note dello splendido “Empire”. La pioggia si fa sempre più insistente e all’inizio di “Best I Can” sembra saltare l’impianto tra lo scoramento del pubblico che già vedeva materializzarsi gli spettri del Gods Of Metal 2003, durante il quale l’esibizione della band di Seattle venne ridotta a pochissime canzoni a causa di un problema tecnico. Per fortuna in pochi secondi tutto viene ristabilito e i Queensryche ritornano a dettar legge riprendendo la canzone sopraccitata. La setlist comprende anche canzoni del recente ed ispirato “American Soldier” dal quale possiamo apprezzare “Killer” e “Man Down”. Finale anticipato di una decina di minuti per motivi oscuri che non intacca l’ottima esibizione dei nostri, qualcuno forse reclama per la mancata esecuzione di pezzi dall’amatissimo “Operation Mindcrime”, ma per chi li segue da sempre sono solo minuscoli dettagli.
(Teospire)

Grande attesa per il ritorno in Italia dei Tesla, la band americana è da qualche anno riapparsa sulla scena con dischi di ottimo livello ed il recente “Forevermore” non ha fatto altro che confermare questa tesi. Purtroppo lo spettacolo del gruppo americano però non parte come dovrebbe, i suoni non sembrano ben bilanciati e soprattutto sono scarichi, facendo fare una brutta figura a due ottime canzoni come “Forevermore” e “I Wanna Live”. Che la band non abbia nulla a che fare con questa falsa partenza risulta palese allorchè le casse iniziano a pompare come si deve. L’esperienza dei Tesla si riversa in toto nell’esecuzione di bellissime canzoni hard rock, ricche di influenze blueseggianti. I vari componenti sembrano in ottima forma come dimostra il singer Jeff Keith in possesso di una timbrica rauca assai particolare e l’affiatata coppia di chitarre formata dallo storico Frank Hannon e dal più giovane Dave Rude, il primo è in possesso di una tecnica ed un feeling straordinari mentre il secondo risulta un eccellente spalla; i due nel finale concederanno anche un gustoso assolo in botta e risposta con citazione ai Queen di “We Will Rock You”. Dopo aver piazzato una serie di classici da brivido come “Heaven’s Trail” e “Hang Tough” la band di Sacramento si congeda col pregevole piglio moderno della recente “Into The Now” prima della chiusura affidata a “Cummin’ Atcha Live”, tra gli applausi di un pubblico sempre più coinvolto e convinto dall’esibizione.
(Teospire)

Per quanto mi riguarda gli unici headliner del Gods of Metal, tale e tanto è il divario tra gli Heaven & Hell, o Black Sabbath che dir si voglia, e tutte le altre bands presenti (Motley in primis!), sia dal profilo storico che qualitativo.
Dopo questo piccolo appunto, passiamo alla Storia, si proprio Storia, anche perchè quanti gruppi possono vantare così tanti classici uno dietro l'altro nella propria setlist?
Infatti dopo l'intro “E5150”, ecco “Mob Rules”, sublime traccia che ci inquadra subito la forma smagliante della band e, anche se il fonico si diverte a rovinare i suoni di chitarra di Tony Iommi, siamo estasiati da un quartetto che non invecchia MAI!
Segue “Children of the Sea”, così per tranquillizzare i presenti, anche lì gli H&H sono imbattibili, facendoci letteralmente sognare, grazie alle splendide melodie di questo pezzo, i nostri continuano con un paio di cazoni da “Dehumanizer” quali “I” e “Time Machine”, veramente gradite quanto sottovalutate, prima di proporci anche degli stralci del nuovo e stupendo “The Devil you know”. Resa on stage ineccepibile anche per le nuove “Bible Black”, “Fear” e “Follow the Tears”, già conosciute dai fans, che vedono come al solito un malizioso e sorridente Ronnie James Dio apprezzare il fatto...
Lo so che qualcuno si starà chiedendo, ma questo non parla dei membri del gruppo? Com'è stata la loro prestazione?
Allora, come se ce ne fosse bisogno, Dio è semplicemente (come da soprannome!) unico ed inimitabile e rimarrà per sempre un mistero dove vada a pescare tanta potenza in un corpo così minuto, Tony Iommi per molti è IL chitarrista Metal per eccellenza, titolo meritatissimo anche per la sua peculiarità di riffs pesanti come macigni e dei solos mai virtuosi ma sempre perfetti, da mandare a memoria nota per nota, chiudo con “Geezer” Butler, perchè per Appice ci sarà spazio dopo, altra pedina fondamentale, che con le sue 4 corde ha sostenuto il sulfureo suond del Sabba per oltre tre decadi, risultando appunto parte integrante di tale alchimia sonora, tutti questi elementi sono stati ancora una volta comprovati sulle assi del palco monzese!
Tornando alle canzoni, è la volta di “Falling off the Edge of the World”, brano a detta di Dio, scritto 28 anni fa quando il mondo stava andando “male” ma, purtroppo ancora molto attuale, pezzo che, a parte la valenza delle liriche è una vera e propria gemma struggente ed epica, merito anche di linee vocali perfette...
Purtroppo per i fans invece, c'è anche spazio per l'ennesimo ridicolo drum solo di Vinnie Appice, uomo dall'estrema fortuna per aver suonato per così tanto tempo in una delle band più influenti di sempre, e anche se non è mai stato un valore aggiunto alle qualità dei Sabbath (pardon H&H!), ma solo un onesto batterista, almeno, secondo chi scrive, potrebbe evitare tali assoli, che altro non sono che una perdita di tempo, scusate la franchezza ma ne ho piene le tasche di certe buffonate, che inficiano un'opera d'arte come uno show di Iommi & Co.
Per fortuna sono i pezzi a farla da padrone, pezzi immortali come “Die Young” ma soprattutto “Heaven & Hell”, versione da un quarto d'ora abbondante, che strappa applausi e lacrime per un monumento sonoro della musica Heavy!
Dopo un attimo di riposo per tanta fatica, ecco che i quattro tornano con “Country Girl”, ma è solo un accenno che prelude alla canzone conclusiva, l'unica e sola “Neon Knights”, con tanto di filmato del cavaliere al neon, che serve solo a ribadire la superiorità del gruppo inglese, maestri di tutto ciò che E' tuttora Heavy Metal! UNICI!
(Alessio)

Dopo tanto dispendio di energie fisiche ma anche emozionali (esistono?), mi accomodo per gustarmi i Motley Crue, posti incredibilmente dopo gli H&H, è proprio vero che non c'è più rispetto per gli anziani...
Scherzi a parte, a conti fatti la prestazione del quartetto losangelino sarà molto più gradito rispetto alla figuraccia di due anni or sono all'Idroscalo, infatti dall'apertura con “Kickstart my Heart” si sente che i bad boys californiani (con tanto di lettere giganti che formano appunto le parole Los Angeles sul palco!), sono in palla, per quanto ovviamente lo possa essere una band con i loro trascorsi!
In ogni caso Vince Neil si diverte e fa divertire i presenti, basti notare la calca sotto al palco, sempre a colpi di Glam con brani portanti del genere quali appunto “Wild Side”, “Girls Girls Girls”, “Shout at the Devil” e chi più ne ha, più ne metta.
Il solito plauso va comunque a Mick Mars, sempre immobile on stage, a causa della brutta malattia ossea contratta ma, a tutti gli effetti un axeman estremamente valido e preciso.
Bella anche “Saints of Los Angeles”, title track dell'ultimo lavoro, cosa che non si può proprio dire per “Motherfucker of the year” ma, d'altronde bisogna promuovere il “nuovo” album no?
La folla esplode invece per “Dr. Feelgood”, del quale album si sperava in realtà fosse eseguito per intero, data la ricorrenza del 20esimo anniversario dall'uscita.
Comunque i pezzi proposti hanno riscosso parecchi applausi, come il semi lento “Don't go away Mad (Just go away)”, o ancora “Same Ol' Situation (S.O.S.)” e addirittura i fans sembrano apprezzare le cazzate propinateci da Tommy Lee, speaker ufficiale dei Crue, nei soliti pistolotti da Rocker scafato, in un contesto come quello dei Motley e del “tutto fa brodo”.
Tra un brano e l'altro si arriva veloci alla chiusura di una buona e inaspettata prestazione dei Glamster della West Coast, con la calata del pianoforte bianco sul palco, col quale Tommy Lee introduce la bellissima “Home Sweet Home”, dolce chiusura cantata coralmente da tutto lo stadio Brianteo.
Si chiude così la prima giornata del Gods 2009, con alti e bassi come è lecito attendersi in un festival, ma ribadendo che gli alti sono stati senz'altro da vertigini! (Alessio)

Report a cura di Alessio Aondio e Teospire

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