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Party.San 2009 - Day 2 - 8/7/2009 - *** - Bad Berka

La torrida giornata di venerdì si apre decisamente più presto, perciò dopo un rapido giro tra i vari stand e un panino veloce si passa subito all'azione. Non sono però in molti sotto il sole battente dell'una di pomeriggio a vedere lo show dei locali Summers Dying.
La formazione di Weimar è quella che deve fare meno strada per presentarsi al festival, ed ha alle spalle solo un EP ed un paio di demo. Buona la prestazione sul palco, che dà l'impressione di una band abbastanza rodata dal vivo, mentre è forte nel sound l'influenza di scuola death/black scandinava, su tutti Dismember, Grave, Hypocrisy, Emperor. Il tutto non è particolarmente originale ma si fa ascoltare con piacere. Da rivedere.
In sostituzione dei francesi Glorior Belli, costretti al forfait causa problemi di line-up, ecco un altro gruppo locale, i blackster Grabak. La formazione guidata dal singer Jan ha più esperienza e si vede, anche se il loro black metal vecchio stile non fa nè caldo nè freddo. Qualche problema con i suoni non rende migliore la situazione, e così il gruppo, chiamato all'ultimissimo minuto, lascia il posto agli olandesi Inhume.
Death/Grind aggressivo e d'impatto per questi cinque musicisti che festeggiano i 15 anni di attività. Qui le cose iniziano a farsi più interessanti, e lo si vede anche dal crescente interesse dei fans, scatenati davanti a canzoni come “Hate/Kill” e “Dead Man Walking”, o ancora di più da “Illuminati” e “Tiamat”. Nei tre quarti d'ora a disposizione la formazione dei paesi bassi tira fuori uno show onesto, diretto, e senza troppi intoppi, che gli permette di uscire soddisfatti dal palco del Party.San.
E' ora un momento piuttosto particolare, perchè stanno per presentarsi on stage gli islandesi Solstafir. A parte la sorpresa nel vedere il seguito di quella che è probabilmente l'unica band a farsi conoscere fuori dai confini della fredda e isolata isola dei vulcani (non sono poche le magliette col logo della band che si vedono in giro), anche la band in sè si discosta di parecchio da quanto visto fin'ora. Sull'onda del tour europeo di “Kold”, Aðalbjörn Tryggvason e compagni si spostano da sonorità rock/indie a parti più heavy ed estreme, un mix che sembra un pò strano ma pare funzionare. La prestazione del gruppo è tra l'altro molto buona, non mancano passione ed espressività in questi quattro ragazzi vestiti come motociclisti da strada, e tra una “Kold” e una “Love Is The Devil...”, decisamente più lente, si alternano con successo brani più “tirati” come “Bloodsoaked Velvet”. Davvero una band dall'offerta particolare.
Tocca quindi ai Den Saakaldte, la band del chitarrista Sykelig, che ha alla voce uno dei personaggi più irriverenti e controversi di questo Party.San 2009: Niklas "Kvarforth" Olsson, di nuovo tra noi il giorno seguente coi suoi Shining. Questo interessante progetto Black ci propone quindi parte del repertorio dal debutto “All Hail Pessimism”, con il suo cantante protagonista assoluto sul palco. Già si presenta con in mano l'inseparabile bottiglia di Jim Beam, che non lascia neanche per un momento, e una volta toltosi la maglietta vediamo sulla pancia la scritta “Ihr Seid Alle Wichser” (grezzamente tradotto in “siete tutti segaioli”). A parte queste trovate da showman, come anche il leccare la pelata al bassista, o rantolarsi per terra, è buona la prestazione del gruppo norvegese, ed è un'opportunità unica sentire dal vivo pezzi come “Samma Skrot, Samma Korn”. Controversi.
Dopo questa originale parentesi, al posto degli Evocation, in arrivo in ritardo, scendono di una posizione nel running order i finlandesi Swallow The Sun, band che vanta da poco alla batteria il drummer dei Wintersun Kai Hahto. La band ha un nuovo album in cantiere, “New Moon”, in uscita quest'autunno, e sarà interessante vedere come cambierà il sound con l'inserimento del nuovo batterista. Colti un pò in controtempo nel suonare in anticipo, i cinque propongono uno show discreto, i cui protagonisti sono il tastierista Aleksi Munter e ovviamente il singer Mikko Kotamäki. Buona l'impressione che si ha dell'inserimento live da parte di Kai dei Wintersun, anche se onestamente preferirei vederlo più con questi ultimi.
Nel frattempo sono per fortuna arrivati i colleghi, e per prima cosa una volta sul palco gli Evocation ringraziano prontamente l'altra band scandinava per la sostituzione “last-minute”. Death metal svedese vecchio stampo (per chi non lo sapesse) quello della formazione di Borås, che apre con i primi tre brani dell'ultimo “Dead Calm Chaos”.
La band, ben guidata dal frontman Tjompe, riesce a farsi perdonare il ritardo con una bella prova, anche da parte dei chitarristi Vesa e Marko, mentre lo show procede incentrato su quello che può essere considerato l'unico vero disco post-reunion, pur con qualche classico come “Veils Were Blown. Un'esibizione che tutto sommato valeva la pena di vedere, e che si conclude tra gli incitamenti dei fans con “Razored To The Bone”.
Non seguo molto gli Hate Eternal (causa cena) di Erik Rutan, che comprendono al basso il buon vecchio Alex Webster (Cannibal Corpse), ma per quel poco che riesco a vedere sembra che a parte qualche problemino tecnico la band se la cavi abbastanza bene. Buona la scelta dei pezzi, che prende un pò dall'intera discografia, come “Behold Judas”, e a giudicare dalla reazione del pubblico che si lancia verso il palco direi che pare uno show riuscito.
La concentrazione riprende quando arrivano i Thyrfing, una delle band che ero più curioso di vedere live, e che mi ha davvero colpito. La band viking/black, da due anni con una sola chitarra e con l'ex Naglfar Jens Rydén alla voce, riesce infatti ad allestire uno spettacolo per me davvero appassionante, grazie soprattutto anche all'interpretazione del sopracitato singer.
Forse non la pensa allo stesso modo tutto il pubblico, in parte diviso su questo punto, ma se l'interpretazione dei vecchi brani non può essere certamente paragonabile all'originale cantato di Thomas Väänänen, è senz'altro migliore il risultato che si ottiene sul più recente “Hels Vite”. A chi è piaciuto e a chi no, sta di fatto che pur con qualche imperfezione qua e là il gruppo ha fatto il suo dovere. Per me uno degli show più interessanti della giornata.
Dopo aver perso per due volte in una settimana i Misery Index lo scorso inverno, ecco che per una volta riesco invece a non mancare all'appuntamento con il gruppo statunitense. Ancora sull'onda del buon “Traitors”, la band se la cava niente male, suona bene e diverte, soprattutto con lo scatenato Sparky che non sta fermo un secondo, in contrapposizione con uno staticissimo Jason Netherton.
Lo show è incentrato sull'ultimo disco, a partire dall'intro “We Never Come In Peace” e “Theocracy”. Discreto è il responso del pubblico, che accompagna tra gli applausi la chiusura con la classica “Conquistadores”, anche se la posizione nel running order fa si che gli americani si trovino più fra i vichinghi svedesi che davanti ad appassionati di death/grind. E' infatti ora il momento di quella che dal vivo è sempre (o quasi) una certezza: Johnny Hedlund e i suoi Unleashed.
Per quanto mi riguarda sono sempre rimasto ben più che soddisfatto dalla band svedese dal vivo, e questa sera non sono da meno, pur con una prova non forse delle migliori e ampiamente penalizzata dal poco tempo a disposizione. Questo fa si infatti che vengano omessi alcuni classici di solito immancabili nei tour, mentre troviamo nuovi pezzi come “”Your Children Will Burn” ed ovviamente “Hammer Battalion”.
Questo non impedisce ai fans di scatenarsi al ritmo di “To Asgaard We Fly”, “Winterland”, o la travolgente “Midvinterblot”... tutte anticipate dalle solite presentazioni di Johnny, a segno che i quattro vichinghi hanno ancora una volta la situazione saldamente in pugno. Il momento forse più alto dell'esibizione si ha con “Death Metal Victory”, dove tutto il pubblico accompagna il cantante nei cori (“Death Metal is here to stay, born of hatred to society, we've risen up to fight, like a neverending warmachine [...] My warriors scream for me: Death Metal Victory!”), in un culmine davvero suggestivo che ci accompagna così alla fine di un'altra prova di forza della band scandinava, dilungatasi anche qualche minuto oltre il tempo previsto.
Come sempre (e non mi stupisco neanche più) i Satyricon si fanno invece attendere per quasi mezz'ora prima di salire sul palco per chiudere questa seconda giornata di Party.San. Ovviamente l'apertura è affidata a “Commando”, con cui la fredda band norvegese inizia a riscaldare i fans che iniziavano ad essere impazienti.
Bisogna aspettare fino a “Forhekset” per arrivare a brani più datati di quelli degli ultimi due dischi, unico oltre ad “Havoc Volture” nella prima parte dello show. Per un concerto che vede poche imperfezioni tecniche e dei suoni tutto sommato ok, l'esibizione in sè non è niente di diverso dal solito, Satyr che si aggrappa al suo microfono col tridente nero, i chitarristi che si alternano da una parte all'altra del palco, Frost che esegue nè più nè meno del suo lavoro.
In fondo la band può anche permettersi di lasciarsi un pò andare dato che il pubblico è dalla sua sempre e comunque.. Così dopo “Den Siste”, il palco viene abbandonato prima dell'encore finale, che vede “K.I.N.G.”, “Fuel For Hatred” e l'immancabile “Mother North”, per finire ancora una volta con successo, ancora una volta all'ombra di quei classici che sono il marchio di fabbrica del combo scandinavo.
Come bilancio della giornata, mentre si dà il via all'afterparty notturno, direi interessanti da vedere gli islandesi Solstafir, e buone le esibizioni soprattutto di Unleashed, Thyrfing, Satyricon e Den Saakaldte, ma a parte qualche sostituzione, ritardi e qualche piccolo inconveniente tecnico, alla fine il giudizio è senz'altro positivo.


Foto:

Satyricon


Unleashed


Misery Index


Thyrfing


Hate Eternal


Evocation


Swallow The Sun


Den Saakaldte


Solstafir


Inhume


Grabak


Summers Dying


Report a cura di Marco Manzi

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