Ha fatto tappa anche a Milano il lungo tour che sta portando in giro per l’Europa i Dream Theater. Questo nuovo tour vede sul palco, a fianco della più grande band prog statunitense, gli svedesi Opeth, i Bigelf di Los Angeles e gli Unexpect del Canada. Ad aprire la serata sono stati proprio questi ultimi: verso le 18.00 gli Unexpect cominciano il loro show. Sebbene siano un gruppo dalle doti musicali più che apprezzabili, la loro musica non riesce a far presa sul pubblico, forse a causa di suoni non proprio perfetti. Il loro pezzo più apprezzato è stato sicuramente “Desert Urbania”, non si sa però se per l’effettiva qualità musicale o per il fatto di essere stato annunciato come ultimo. Senza aver troppo sconvolto il palazzetto, gli Unexpect lasciano il palco ai Bigelf. La band di Los Angeles si dimostra certamente sia più esperta che più attesa dal pubblico rispetto ai canadesi e perciò il loro show si apre subito con una marcia in più, con brani tratti dall’ultimo album The Evils of Rock & Roll. La loro esibizione scorre rapida fra assoli, jam session e pezzi dei primi dischi, finché improvvisamente, nel bel mezzo di “Blackball”, arriva il colpo di scena che fa saltare tutti in piedi: il batterista dei Dream Theater Mike Portnoy sale sul palco a dare il cambio a Steve Frothingham, impeccabile fino a quel momento, e conclude la canzone con gli altri membri del gruppo.
Arriva finalmente il momento di Mikael Åkerfeldt coi suoi Opeth.
Il palco non è cambiato dall’inizio: un pesante telo nero anonimo cela la scenografia degli headliner, lasciando ai tre gruppi spalla solo i primi metri del palco; ai lati, per ora, sventolano dei lunghi e minacciosi drappi grigi. Gli Opeth sembrano su un campo dopo la battaglia. Il gruppo appare fin dall’inizio in piena forma e le canzoni creano un’ atmosfera davvero cupa, che non fa rimpiangere per nulla l’assenza di un allestimento scenografico più elaborato. Si odono le prime note di “Windowpane”, la opener di Damnation, e il pubblico va in delirio: tanti sono venuti più per loro che per i Dream e la loro attesa non poteva essere meglio ripagata. “The Leper Affinity” è sicuramente il pezzo meglio riuscito: le luci tutte accese di blu creano un’atmosfera fredda e malefica di perfetto contorno alla canzone. Del concerto devono essere ricordate inoltre le eccellenti “April Ethereal” e “Harlequin Forest”, anche se si è sentita la mancanza della bellissima “Black Rose Immortal”. Gli Opeth lasciano il palco tra gli applausi e le acclamazioni dei fan che sanno di aver assistito davvero a un gran concerto.
Un check sound davvero rapido separa il loro concerto da quello degli headliner: i Dream Theater. I cinque statunitensi fanno il loro ingresso in scena sulle note di “A Nightmare To Remember”, prima canzone del loro nuovo disco Black Clouds & Silver Linings. Una cosa mi colpisce immediatamente: Petrucci ha di nuovo, finalmente, i capelli lunghi… peccato che Labrie abbia, in compenso, un pizzetto abbastanza orribile, quasi peggio di Hansi dei Blind Guardian e del suo nuovo taglio di capelli da impiegato bancario.
Lo show prosegue con un omaggio ai fan di vecchia data: “The Mirror” e “Lie” direttamente da Awake, suonate magnificamente come se non fossero già passati 15 anni dalla loro composizione. Il pubblico è in delirio e non ha ancora ascoltato il primo assolo di Jorda Rudness che con la sua pianola improvvisa sul tema di “O’mia bela Madunina”: un magistrale coup de théâtre che ha colpito tutti i presenti.
L’esibizione riprende poi con le nuove “Prophets Of War” e “Wither”, per poi tornare al passato con le romanticissime “One Last Time” e “The Spirit Carries On”, canzoni che sono sicuramente state l’apice dello show. Sui tre maxi schemi si alternano le immagini del concerto e i video delle canzoni e durante “In The Name of God” anche un po’ di karaoke. Il concerto si conclude alla fine alla grande con “The Count Of Tuscany”, decisamente una serata difficile da dimenticare, gli Opeth così in forma insieme a dei Dream Theater così diretti non si erano davvero mai visti.
Report a cura di Tommaso Bonetti
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