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Saint Vitus + Centurions Ghost - 2/14/2010 - Bloom - Mezzago (MI)

Quale San Valentino migliore se hai davanti i redivivi Saint Vitus, con tanto di Wino (senza nulla togliere a Scott Reagers) come frontman?
Il Bloom, nella sera degli innamorati, si presenta parecchio gremito per il ritorno dei seminali doomsters californiani, accompagnati non dagli Witchcraft, ma dagli inglesi Centurions Ghost. Il gruppo londinese, ad eccezione della chitarrista bergamasca Federica, scalda le prime file del locale col suo Doom/Sludge, pesante e opprimente, rivelandosi veramente una band dal buon impatto.
Chiaramente e, soggettivamente, la voce Sludge è quella che è, ovvero delle grida strazianti, come nel caso di Mark Scurr, vero screamer, ma, a mio avviso, un tantino fuori luogo come accompagnatore dei riffoni barcollanti della band.
Senz'altro apprezzati dagli amanti del genere, i Centurions Ghost sono una realtà collaudata dello Sludge, grazie ai tre full lenght già pubblicati, nonché a quello che hanno dimostrato sullo stage del Bloom, schiacciaossa!
Arriviamo al piatto forte, i Saint Vitus, orfani dello storico (e scoppiatissimo!) drummer Armando Acosta, calcano il palco coadiuvati dal nuovo Hanry Vasquez, già batterista/cantante dei Blood Of The Sun, gruppo nel quale lo Stoner/Doom convive con il Deep Purple sound, tanto per dare un'idea dell'accattivante miscela messa in musica da tale combo!
Tornando a noi, è chiaro che iniziare un concerto Doom con “Living Backwards”, è un privilegio esclusivo dei Vitus, inteso che il famosissimo brano di Scott “Wino” Weinrich & Co. si pone come uno dei superclassici del genere, come testimoniato dall'entuisiasmo dell'audience tutto. Le sulfuree mazzate si susseguono senza sosta, grazie anche ai riffoni neri e fumosi di Dave Chandler, founding member al pari del bassista Mark Adams, vere icone del Doom nella sua accezione più pura.
Via allora a perle oscure quali “I Bleed Black”, “Look Behind You”, “Clear Windowpane”, o ancora “White Stallions”, acclamata dai fans e utile per riportare un po' di “vitalità” tra gli storditi presenti. E Wino? Lui è sempre in forma, dialoga tra un pezzo e l'altro con la consueta ironia e delizia la folla con espressioni di acida follia, oltre che a sfoggiare la sua ipnotica ugola, come se la Gibson Diavoletto di Chandler non lo sia già a sufficienza!
Tra i bis, come non suonare “Saint Vitus”, omonimo pezzo (di storia!) che da il nome al glorioso quartetto statunitense e, naturalmente, il manifesto della band, quella “Born Too Late” che è a tutti gli effetti una dichiarazione d'intenti, rallentata e soffocante.
Tirando le somme, un gran bel concerto, senza fronzoli, scenografie o inutili pantomime, il Doom è questo, pesante, sofferto e tremendamente sinistro e, cari miei, i Saint Vitus non hanno imparato una lezione, la stanno ancora impartendo!

Report a cura di Alessio Aondio

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