I Lostprophets non suonavano nella nostra penisola da quasi sei anni, comprensibile dunque una certa attesa per verificare le condizioni della band anglosassone. E’ vero che le ultime release in studio “Liberation Transmission” e l’ultimissimo “The Betrayed” non sono un granchè ed hanno avvicinato la band a sonorità molto più radiofoniche ma un gruppo in grado di partorire un paio di gioiellini nu metal, nu hard rock o alternative, chiamatelo come volete, del calibro di “Thefakesoundofprogress” e “Start Something” ha il potenziale per fare un grande concerto a prescindere. Imbottigliati nel traffico milanese, perdiamo l’intera esibizione dei conterranei The Blackout, band gallese alle prime armi, ispirata da un emo-rock a dir poco adolescenziale, probabilmente in grado di far breccia sul pubblico molto giovane che affolla il piccolo locale milanese. Neppure il tempo di ambientarci ed eccoci subito catapultati nello spettacolo dei Lostprophets accolti sul palco dal grande calore del pubblico sulle note di “It’s Not The End Of The World But I Can See It From Here”, primo singolo dell’ultimo arrivato “The Betrayer”, in grado con melodie semplici e immediate di scatenare subito la platea. Il secondo pezzo della serata è l’indemoniata “Burn Burn”, canzone ad alto contenuto adrenalinico capace di scatenare un bell’inferno sotto il palco. Lo show prosegue con “Can’t Catch Tomorrow” seguita da una sdolcinata ma sempre gradita “The Last Summer”, preceduta invero da un gradevole mini-tributo ai Faith No More con l’inizio della grandissima “The Real Thing”. Non tutto il pubblico sembra capire ma d'altronde vista l’età media molto bassa dei presenti è più che comprensibile. Pezzi come “For He’s a Jolly Good Felon” e “A Town Called Hypocrysy” vengono eseguite con buona perizia tecnica dalla band ma certificano il preoccupante calo compositivo della band gallese, mentre a tirare su le sorti della serata ci pensa la solita “Last Train Home”, ballata che fa impazzire le ragazzine e unisce tutti sul clamoroso ritornello. I Lostprophets si dimostrano in vena di tributi, omaggiando i Guns’ N’ Roses con un accenno alla celebre “Sweet Child O’ Mine”, rovinata solo in parte per far spazio a “Where We Belong”. Dopo il trascurabile pop della ballata “Rooftops” si ritorna finalmente a picchiare duro con “Shinobi Vs. Dragon Ninja”, alla fine della quale il gruppo rientra sorprendentemente in camerino per la consueta pausa. Che fossimo arrivati già ai bis finali l’avevamo capito ma che la band si presentasse sul palco per eseguire la sola “Everyday Combat” non se lo aspettava nessuno. Dopo un ora e 5/10 minuti di concerto i Lostprophets manifestano quelle che saranno le loro intenzioni da qui in avanti se già con l’uscita degli ultimi due dischi non l’avevate capito: fare musica per ragazzini fino a 15 anni al massimo. Ecco giustificata la chiusura dello show entro le 22 e 15 nonché una serie di pezzi e ritornelli eccessivamente mielosi. La buona prestazione tecnica complessiva della band, supportata anche da una resa sonora più che discreta non fa che aumentare il rammarico per un gruppo che ha cambiato volto definitivamente, perdendo molta della rabbia e del talento che avevamo apprezzato ad inizio carriera.
Report a cura di Teospire
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