VENERDI' 25
Il Gods of Metal cambia ancora. Quarta location differente negli ultimi quattro anni,
partendo dall'Idroscalo di Milano, passando per l'Arena Parco Nord di Bologna e lo stadio
Brianteo di Monza, si arriva al 2010 con la tre giorni nel Parco della Certosa Reale in
quel di Collegno, nella periferia di Torino.
Il bill di questo Gods of Metal è poco Gods e molto metal, nel senso che non è proposto
nessuno dei nomi altisonanti del metal mondiale e così la scelta della location, più
intima delle precedenti calza a pennello.
Noi partiamo in ritardo, si sa il venerdì è giorno di lavoro, ma questo Gods of Metal
parte subito bene con un livello organizzativo di tutto rispetto: entrate e uscite
separate, niente code agli stand, ne al cibo, perfetta la disposizione dei due stage,
zone d'ombra, sedie, prezzi onesti. Cosa manca allora? Il pubblico! Si perchè nei primi
due giorni il pubblico è stato il grande assente del Gods of Metal: credo non si
arrivasse alle 2000 presenze, che considerando le 25000 di due anni fa con gli Iron
Maiden sono un'inezia.
Come detto il nostro festival inizia tardi, soltanto dagli Atreyu, ma i più ci
dicono di non esserci persi molto se non il grande show degli Unearth che hanno
oltretutto goduto dei volumi più smodati di tutta la giornata... all'una di pomeriggio!
Ma tornaimo agli Atreyu: la band californiana vanta ormai dieci anni di attività, ma per
il sottoscritto sono dieci anni di anonimato. I pezzi sono poco originali e alternano
parti tirate a melodie strappamutande. Il tutto è penalizzato da volumi decisamente
troppo bassi, se poi aggiungiamo la cover di You give love a bad name di Bon Jovi, la
frittata è fatta!
Per fortuna il registro cambia subito con gli As I Lay Dying. Il metalcore della
band di San Diego è tutta un'altra pasta rispetto a quello degli Atreyu e ti colpisce
come una manata in pieno volto ed infatti il pogo si scatena. Tim Lambesis è un frontman
e sa fare il frontman, carismatico al punto giusto, ha l'appeal necessario per attirare
su di sè l'attenzione del pubblico. Il resto della band lo supporta in modo egregio, i
suoni sono i migliori di giornata (assieme a quelli degli headliner) e il risultato che
ne esce è che gli AILD sono i
Il momento della band "fuori tema" di giornata è giunto. Ecco i mastodontici Fear
Factory, quattro personaggi (con Gene Hoglan alla batteria) che assieme possono
superare abbondantemente i 500kg! Ammetto di non essere un grande fan della band di Dino
Cazares ma la curiosità di vedere all'opera una della band più innovative degli ultimi 10
anni era decisamente alta, anche se l'ultimo lavoro, "Mechanize" mi era passato sopra
lasciandomi indifferente. Non è così dal vivo, i Fear Factory in sede live ti passano
sopra e ti schiacciano! Un'onda sonora avvolge il pubblico e lo trascina nel mondo della
fabbrica della paura. Un concerto ottimo e una precisione unica, nonostante alcuni
piccoli risentimenti nella prestazione vocale di Bell,
Cambio palco, sole in calo e si torna ad una band sfrontata, i Devildriver che già
avevano offerto un grande show al Sonisphere in Svizzera. Il metalcore qui resta in
disparte perchè la vene del combo di Santa Barbara è molto più deathcore. L'impatto
visivo mi colpisce: quanto è invecchiato il mitico Dez? Bè invecchiato si, ma si sa, il
lupo perde il pelo ma non il vizio e l'istrionico singer californiano sfodera una
performance potente senza accusare il minimo calo nonostante il concerto di oltre un'ora.
La coppia di asce diverte il pubblico e le sezione ritmica da il suo dovere, il fonico un
po' meno... ma il pubblico è caldo quindi tutti contenti in attesa degli headliner della
prima giornata.
Che dire? Mai mi sarei aspettato di vedere i Killswitch Engage a chiudere una
giornata di un Gods of Metal, eppure la band del Massachusetts è qui e con lei super-man
Adam Dutklewicz. Il pazzo chitarrista, prima drummer della band, si presenta con la
mantellina da Super-Man, i suoi compagni in tenuta sportiva e il cantante Howard Jones,
invece, sembra sia reduce da un matrimonio e abbia gettato giacca e cravatta prima si
saltare sul palco. Saper alternare pezzi tirati e ritornelli puliti non è da tutti, far
cantare il pubblico facendo un genere tutto sommato a tratti estremo neppure, ma i
Killswitch Engage questo fanno, ed ecco perchè sono proprio qui a chiudere questa
giornata e lo fanno nel migliore dei modi, ricordando il compianto Ronnie James Dio con
la cover di Holy Diver. Un gesto pregevole, che non ho visto fare neanche ai grandi al
Sonisphere, dove R.J. avrebbe addirittura dovuto esibirisi! Onore e gloria ai Killswitch
Engage.
SABATO 26
Seconda giornata e il pubblico apparentemente cala, nonostante sia sabato. Per noi ci
pensano, sul second stage i toscanacci Subhuman a scaldarci, non che fosse
necessario, ma il loro thrash metal misto a sfuriate di stile svedese ed un diavoletto
come singer non ci lasciamo indifferenti.
Ma ora spazio ai Behemoth. Il combo polacco ha ormai definitivamente abbandonato
il black metal se non nel facepaiting, per fissarsi come la band death metal estrema più
altisonante in circolazione. E qui al Gods of Metal se ne è avuta conferma: diciamolo
subito, sono i Behemoth i vincitori di giornata. Un concerto semplicemente devastante:
precisione, potenza, velocità e il tutto riuscendo pure a fare show grazia anche a un
curatissimo stage set. Alla proposizione di Demigod nella prima metà del set il pubblico
è letteralmente esploso. Nergal è il frontman estremo per eccellenza, Orion è di grande
presenza, Inferno è una macchina da guerra e Set completa perfettamente il pacchetto.
Leggendari!
Si passa al thrash metal bay-area con la venuta degli Exodus e il mosh-pit si
scatena sui ritmi della batteria del buon vecchio Tom Hunting, l'unico membro rimasto
della prima line-up della band. Rob Dukes ormai da 5 anni stabile nella band dimostra di
saper il fatto suo e catalizza l'attenzione su di sè, vuoi anche per la mole e i tatuaggi
che lo ricoprono. Thrash-metal diretto e senza compromessi, un pogo continuo per l'intera
ora di set piazzano gli Exodus tra i top act di questo Gods!
Onestamente non conoscevo i Raven, se non di nome, come storica band NWOBHM e ero basito
a vederla così in alto in scaletta. La band dei fratelli Mark e John Gallagher è attiva
dal 1974 e l'aspetto lo dimostra, ma a dispetto dell'aspetto (bel gioco di parole..haha)
i 3 inglesi sono arzilli come pochi altri, saltando continuamente qua e là e mostrando
espressioni al limite dell'assurdo. I suoni tuttavia sono stati abbastanza deludenti,
soprattutto nelle parti più acute dove la voce di John saliva alle stelle. Ma non c'è che
fare i complimenti a vedere la voglia di heavy metal che sprizzava dai Raven, tante tante
band avrebbero soltanto da imparare...
L'invasione dei vichingi è pronta. Johan Hegg conquista lo stage e il pubblico del Gods
of Metal, che raggiunge il suo apice di partecipazione e coinvolgimento, e il buon Johan
apprezza e si lancia in qualche parola di italiano. Putroppo però lo show del combo
svedese è decisamente sotto le aspettative, i suoni, come era stato a Wacken 2009, minano
completamente la loro prestazione, anche se a volte nascondono, fortunatamente, gli
errori dei due axeman. Personalmente Amon Amarth bocciati, ma assolutamente
promossi dal pubblico italiano!
Via, il buio scende e i
Lordi ritardano la loro esibizione proprio per attendere
l'oscurità.. o forse per prepararsi.. visti i loro immensi e spettacolari costumi di
scena. Botti e fuochi d'artificio li accolgono... neanche fossero i Metallica, ma che
spettacolo! Heavy metal teatrale e appealing questa è la ricetta del combo finlandese. Il
pubblico è rapito e vengono proposti i brani migliori come Devil is a Loser o Would You
Love a Monsterman? che hanno consacrato la band al top dell'heavy metal moderno ma anche
un nuovo ed inedito brano prima della chiusura affidata a Hard Rock Hallelujah. Uno
spettacolo più che un concerto. Meritato anche in questo caso il posto di headliner!
Domenica 27
E' il terzo ed ultimo giorno di questo Gods of Metal, quest'anno in versione
ridotta ma non per questo bisogna partir prevenuti, anzi, nonostante una location anomala
(è infatti la prima volta che un GOM si svolge fuori dall'asse Milano - Bologna),
nonostante mancasse la presenza di band di grido in vece di Headliner nei giorni di
venerdì e sabato, nonostante tanti altri piccoli dubbi e perplessità, a noi questo "mini
Gods of Metal" è piaciuto tanto.
Si comincia con una qualità di servizi ottima, un'area festival vivibile, con code
ridotte all'osso, sia per il cibo che per i bagni ecc...
Ampie zone d'ombra dove rilassarsi non sono certo mancate e questo, unito ad un ottimo
servizio catering a prezzi abbordabili a fatto svanire quel bisogno di dover per forza
uscire dall'area tanto è vero che noi di Holy Metal non sappiamo se quest'anno abbiano
fornito il braccialetto e dato la possibilità di uscire perché non ne abbiamo per nulla
avvertito la necessità.
Da segnalare poi una puntualità certosina (dipenderà dalla location?) e dei suoni quasi
sempre perfetti. Insomma se questa è la direzione che prenderà il Gods of Metal per i
prossimi anni non c'è che da esserne contenti.
Il bill di oggi, grazie ad un headliner di "peso" come i Motorhead e la presenza di band
storiche quali UDO e Saxon ha richiamato un gran numero di persone che, ha riempito
completamente l'area antistante lo stage in più occasioni, sopratutto durante lo show di
Lemmy e Co.
La pioggia ci ha graziato, il caldo un pò meno e gli svedesi Sabaton che però
suonano di "domenican" (scusate ma dovevo scriverlo assolutamente) si ritrovano sotto un
feroce solleone cui sicuramente non sono abituati. Mi stupiscono due cose di questa band,
che avevo visto la prima volta in svezia nel 2005 e a cui non avevo dato più di 3 giorni
di vita, l'energia che sprigionano e appunto il fatto che dopo 5 anni il sestetto sia
ancora attivo e che soprattutto le varie songs, che su disco non mi hanno mai convinto
più di tanto, siano dannatamente adrenaliche, potenti e davvero Heavy!
Complimenti poi al singer Joakim Brodén che ne ha fatta di strada diventando un vero
frontman.
Anche ai Labyrinth non va molto meglio, sotto il sole anche loro devono fare i
conti con un pubblico che sembra partir prevenuto. Fortunatamente ad Olaf Thorsen e al
vocalist Roberto Tiranti basta aprire le danza con "Save Me" per richiamare a sé il
proprio zoccolo di fedelissimi più molti curiosi che dimostrano comunque di aver
apprezzato lo show e la band. Purtroppo il tempo è tiranno e in solo mezzora la band
(l'unica a rappresentare l'Italia oggi) si concentra sui classici come "In The Shade" e
"Moonlight". Buona prova ma un pò cortina.
Dalle recenti interviste apparse su riviste e web Devin Townsend aveva lasciato intendere
di essersi dato una ripulita, una sistemata, di essere insomma diventato "normale". Oggi
è tutto smentito ed anche la sua nuova creatura, il Devin Townsend Project risulta
essere frutto di quella mente folle e malata cui il canadese ci ha abituati sin dai tempi
degli Strapping Young Lad.
Forse ora si prende meno sul serio, o forse non l'ha mai fatto, tuttavia la sua
esibizione multicolore, condita dalle espressioni più folli, le pose più assurde e le
mosse più folli che la sua mente potesse concepire.
Il pubblico apprezza anche perché dietro a tutto questo si nasconde comunque un musicista
che sa il fatto suo.
Con 45 minuti di tempo la set list si concentra prevalentemente su questa nuova visione
della musica puntando tutto o quasi sugli ultimi "Addicted" e "Infinity". Bella prova per
Devin, speriamo di vederlo in uno show tutto suo da headliner al più presto.
Si cambia palco e si cambia decisamente anche genere ma si resta in suolo canadese con
gli Anvil che tra pochi mesi festeggieranno il trentennale del loro debut album
"Hard 'n' Heavy" uscito ben nel 1981.
I "vecchi" sono sempre i migliori, sarà un modo di dire ma anche oggi sembra che sia così
perché trent'anni di carriera al trio Kudlow, Gyorffy, Reiner non li dai se non quando
senti l'esecuzione di classici quali "666" e "Winged Assassins" e ti rendi conto che
quando li ascoltavi da ragazzino erano già considerati dei classici.
Ottima la prova di tutta la band partendo da Reiner che sembra voler suonare tutto d'un
fiato. Lips si riconferma quel grande intrattenitore qual'è, ride scherza ma quando c'è
da fare sul serio non si tira certo indietro.
Stesso discorso vale per il folle Glen Gyorffy che per l'ennesima volta ha quasi fatto a
pezzi il suo povero basso.
Lo show si chiude con la storica e acclamatissima "Metal on Metal", rCosa noagazzi che
spettacolo!
Poi arrivano i Van Canto una gradita sopresa, perché parlare di rivelazione del
festival è sicuramente eccessivo. Offrono uno show tutto particolare dove l'unico
strumento suonato è la batteria. Per il resto 5 cantanti, 4 uomini e una graziosa
fanciulla, cantano a cappella alcuni brani di loro creazione più due cover "Wishmaster"
dei Nightwish e "Kings Of Metal" dei Manowar, dove tre voci emulano chitarre e basso
mentre una maschile e quella femminile si dedicano al canto più canonico.
La risposta del pubblico forse è stata un pò eccessiva, non si mette in dubbio
l'originalità della proposta dell'act teutonico che però non può che essere appunto un
simpatico intermezzo per far sorridere e divertire, non prendiamoli troppo sul serio.
Si torna sul palco principale e si torna a far sul serio, originariamente questa era la
posizione destinata ai Ratt, putroppo però la band ha cancellato tutte le date del tour
ed il posto è stato riassegnato ai Saxon in modo tale che potessero recuperare la
data salatata all'ultimo momento per problemi al tour bus durante l'edizione del GOM del
2009.
La prova di oggi? Senza dubbio una delle migliori del festival, Biff e compagni non
sbagliano un colpo e, complici i soli 45 minuti a disposizione, non si risparmiano per
nessuno.
La set list, eccezion fatta per "live to Rock", nuovo brano divenuto già classico, è
tutta interamente dedicata alle hit dell'act d'oltre manica, da "Princess of the Night",
"Crusader", "Wheels of Steele", "To Hell And Back Again", "Heavy Metal Thunder" fino alla
conclusiva "Denim & Leather" dicata all'amico recentemente scomparso Ronnie James Dio.
Prova eccellente, spettacolare, unica!
Dopo una prova così il cervello ti dice che ti puoi rilassare che l'apice è stato
raggiunto, peccato che dopo i Saxon arriva un'altro pilastro del metal europeo, arriava
il colonnello UDO con la sua omonima band, con il suo metal quadrato e potente,
con i suoi instancabili musicisti che ancora oggi si divertono come 15enni al primo
concerto.
E allora, messo da parte il cervello che aveva fatto cilecca, forse per il caldo,
si riparte con l'headbanging con "The Bogeyman" e "Dominator" ed il colonnello
Dirkschneider che, tolti gli occhiali da sole si lancia in brani sempre della carriera
post Accept con "Vendetta", "Animal House", "Thunderball", "Man And Machine" fino ad
approdare appunto a quanto tutti aspettavano e cioé l'esecuzione della storica "Metal
Heart". Da segnalare sempre la presenza del guitar Hero elvetico Igor Gianonla e della
sua ascia che sforna soli di grande classe e del massiccio drummer Francesco Iovino,
italiano anagraficamente ma musicalmente ormai 100% teutonico.
Poi succede che si cambia del tutto registro, si passa al death metal made in USA con i
Cannibal Corpse e cominciano a volare gambe, braccia, teste, insomma un pò di
tutto come tradizione death metal vuole. A fronte da una band che on stage rimane
saldamente piantata sulle sue posizioni è quasi preferibile trovare un punto in alto da
cui osservare quanto accade in mezzo a quel pogo impazzito che George Fisher e compagni
hanno consapevolmente innescato. "Sentenced To Burn", "The Wretched Spawn", "Priests Of
Sodom", "Devoured By Vermin" e "Hammer Smashed Face" fanno da cornice a questa
carneficina che coinvolge metallarini più o meno consenzienti ma che si trovavano li
solamente per godere di una buona posizione per il gruppo successivo, i Bullet for my
Valentine che ora potranno vedere si da una buona angolazione ma con qualche costola
fracassata.
Si resta sull'estremo, anche se con toni decisamente più ridotti ed umani, con quel che
resta del marcissimo Max Cavalera, sempre più simile ad una versione sovrappeso di
Barbalbero, personaggio scaturito dalla mente iperprolifica di John Ronald Reuel Tolkien.
Con i suoi Soulfly si appresta a calcare le assi dello stage 2, personalmente
troppo ridotto e limitativo per una band che in più occasioni ha svolto il ruolo di
headliner ma che comunque non si tira indietro e apre anzi con una distruttiva "Blood
Fire War Hate". Inutile dire che lo spazio antistante lo stage viene riempito in pochi
secondi e proprio in quel momento il sole, dalle tinte rosse per l'approssimarsi
dell'imbrunire, conferisce al guerriero dell'Arizona quell'antico splendore che avevano i
Sepultura negli anni '80. Edecco infatti che nel corso dello show vengono riprese
"Refuse/Resist" e "Attitude" per il gaudio dei più nostalgici.
Una buona prova, non ci avrei mai scommesso.
Cosa centrano i Bullet for my Valentine col bill di oggi? fans esclusi ce lo siamo
chiesti tutti. Ed effettivamente la perplessità è più che giustificata, il pubblico del
Gods si sà essere uno dei più intransigenti d'europa ma l'organizzazione ha sempre
perseverato nel voler forzatamente "educare" i metalheads italiani ad una maggior
apertura mentale tipica di altri paesi come Germania, Svezia ecc...
E' inutile infatti osannare il Wacken Open Air, festival metal per eccellenza, ed il suo
alto grado di civiltà e tolleranza per poi darsi al tiro al bersaglio quando non si
gradisce un gruppo.
Fortunatamente anni di "educazione" forzata hanno fatto si che la gente capisse che
all'ascolto di una band non interessante esistono altre valide alternative oltre che quel
gran segno di inciviltà che è il lancio di oggetti sul palco. Così, fatta eccezione di
qualche idiota dell'ultima ora, lo show si svolge in maniera abbastanza tranquilla
permettendo alla band di svolgere il proprio dovere per la gioia dei suoi beniamini.
Magari a noi "anziani" non saranno piaciuti, però è giusto che le nuove leve possano
assistere ad un concerto senza che venga rovinato dai soliti guastafeste (e sono
educato).
Certo fa storcere il naso la posizione in scaletta, però questo è il music business e va
preso così com'è.
Tanto alla fine ci si consola con un headliner di peso come i Motorhead e tutto si
risolve.
L'area si riempie, tutti sono li per loro e quando Lemmy pronuncia la fatidica frase "We
are Motorhead and we play Rock 'n' Roll!" ha inizio lo spettacolo.
Devo dire di aver trovato il trio molto più in forma rispetto al concerto dello scorso
anno a Piazzola sul Brenta (Pd).
Un Lemmy più spigliato, un Phil Campbell iperattivo per non parlare di mister Dee dietro
alle pelli che ha picchiato così forte che dopo ogni 2 canzoni aveve bisogno
dell'intervendo del roady per sistemare qualcosa.
Con un moniker di questo peso sarebbe possibile continuare a suonare presentando
unicamente i classici ma non sarebbe nello stile di mr Kilmister ecco perché la band
puntualmente esce con un nuovo lavoro ed ecco perché ai classici vengono affiancati
estratti dalle ultime release compreso ovviamente l'ultimo "Motörizer" ormai datato 2008
Si parte comunque con "Iron Fist", ma nel corso dello show appunto ecco spunare una
granitica "Rock Out"affiancata a "Stay Clean" o "Killed By Death" anche se poi la
conclusione va sempre a parare su "Ace Of Spades" e, in questo caso, "Overkill".
Show potente e frizzante, schizzato via a 200km orari grazie ad un quasi non stop (giusto
qualche pausa tattica per riprendere fiato), un'apnea durata 90 minuti purtroppo senza
tempi supplementari.
Salutiamo dunque questo Gods of Metal 2010 e ci prepariamo ad un'altro anno di attesa per
ritrovare amici vecchi e nuovi uniti tutti dalla passione per il METALLO!
.: Foto :.
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.: Van Canto
Report a cura di Irene Gittarelli (Venerdì), Dimitri Borellini (Sabato), Paolo Manzi (Domenica)
Siamo alla ricerca di un nuovo addetto per la sezione DEMO, gli interessati possono contattare lo staff di Holy Metal, nel frattempo la sezione demo rimane temporaneamente chiusa.