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British Steel Fest - 11/7/2010 - Estragon - Bologna

Oltre ogni più rosea aspettativa, almeno mia, anche l'italia dell'Heavy Metal ha celebrato più che degnamente il trentennale della N.W.O.B.H.M., fondamentale per la nascita e lo sviluppo del nostro amato genere.
Infatti, il capiente Estragon bolognese, ha saputo accogliere caldamente le sei bands inglesi (gli Weapon purtroppo hanno dato forfait dopo aver perso l'aereo) oltre ai nostrani Crying Steel, riempiendolo ampiamente e sostenendo con entusiasmo ogni nota suonata in questa giornata autunnale.
Andando con ordine, nel tardo pomeriggio, esordiscono gli Elixir, tra l'altro con la formazione che registrò il mitico primo disco “Son Of Odin” e, devo ammettere che la forma c'è e si sente, oltre all'indiscutibile bontà dei brani, come già potemmo constatare qualche anno or sono al Play It Loud Festival!
Il biondo Paul Taylor ci conduce tra i cupi scenari narrati da “All Hallows Eve” (nuovo brano) o ancora in “Pandora's Box”, vero e proprio cavallo di battaglia al pari di “Treachery (Ride Like The Wind)”, che suggella un'ottima prestazione, con sugli scudi l'accoppiata di sei corde Denton/Gordon.
E' la volta di Steve Grimmett e dei suoi Grim Reaper, band che su disco mi ha sempre emozionato oltremodo, infatti, anche sulle assi dell'Estragon non mancano le clamorose “Rock You To Hell”, “Lust For Freedom”, “Rock Me 'Till I Die” e, naturalmente la hit conclusiva di “See You In Hell”, gridata dal locale intero, aiutando il paffuto singer, come si sapeva bolso ed un po' svociato, ad incorniciare uno show sanguigno e senza fronzoli.
Molto sentito (e gradito!) comunque l'omaggio di Steve a Ronnie James Dio, tributato qui con “Don't Talk To Strangers”, ad imperitura memoria del piccolo grande mito che ci ha lasciato da poco, togliendoci tanto, troppo...
Sempre avanti con i Demon, i più Hard della kermesse ma, non per questo incapaci di esaltare i fans a suon di N.W.O.B.H.M., anche se con suoni più eleganti e meno spigolosi.
Dave Hill è un frontman d'eccezione ed il gruppo di Trent è in generale ben preparato e non stecca nemmeno per un secondo, sciorinando le immortali note di “Night Of The Demon” posta a sorpresa in apertura, oltre alle altrettanto trascinanti “Into The Nightmare” e l'immortale “Don't Break The Circle”, altra gemma nello scrigno della compagine anglosassone.
Unico appunto da parte mia è forse la troppa invasività delle tastiere che toglie un pelo di aggressività a brani altresì esplosivi come quelli succitati ma, come dicevo, è da molti anni che Dave & Co. guardano all'Hard, rendendo questa scelta quasi obbligata.
Anche se poco c'entravano con la manifestazione in sé, aspettavo con ansia la performance dei felsinei Crying Steel, dato che i due dischi sfornati dalla band sono a mio avviso una dei volti più belli dell'Heavy Metal tricolore, unitamente alla curiosità di sentire in nuovo cantante, Stefano Palmonari che ha sostituito lo storico Luca Bonzagni.
Nulla è stato disatteso, infatti il concerto dell'Acciaio Piangente è stato superbo, energico e tremendamente coinvolgente, grazie anche alla preparazione del “boss” Franco Nipoti alla chitarra che ha scatenato il delirio sulle note di “Raptor”, “Next Time Don't Lie” o della pluriventennale “Alone Again”, oltre ad un paio di nuovi brani proposti che promuovono in un batter d'occhio Stefano, meno graffiante del suo predecessore ma dotato di una grande ugola.
Auguro quindi ai Crying Steel molti anni di nuove soddisfazioni, siamo fieri di voi!
Arriva uno dei momenti più attesi del festival, quello dei Diamond Head, posti, a mio modo di vedere, un po' bassi in scaletta, dico ciò tenendo conto della loro notorietà e anche per il fatto che la speranza di sentire “Lightning To The Nations” per intero è stata vanificata, forse anche dovuta anche al minutaggio non eccessivamente elevato.
Ad ogni modo, la Testa di Diamante, nella persona del mastermind Brian Tatler, anche se in maniera sin troppo elegante e “easy”, ha profuso energia a go go, elargendo clamorose schegge di British Sound quali “It's Electric”, “Sucking My Love” e per forza di cose l'immancabile “Am I Evil?”, confermando la cristallina classe del fondatore ma, anche del “nuovo” singer Nick Tart e ancora del gigione batterista Karl Wilcox.
Tuttavia, alcuni dei presenti, si dichiaravano insoddisfatti del lavoro svolto dai Diamond Head, giudicandolo oltremodo “moscio” e privo di mordente, da par mio già sapevo di aver davanti una band che ha abbandonato l'Heavy tout court quasi tre decenni or sono, quindi non avevo il minimo dubbio di dovermi rapportare con un quintetto si pieno di pregi ma, senz'altro senza quello dell'intransigenza musicale.
Di tutt'altra pasta sono fatte invece le Girlschool, per le quali la parola “classe”, significa un ambiente chiuso e noiso da evitare come la peste, magari per chiudersi in uno scantinato a suonare del grezzo Heavy 'n' Roll e farsi qualche birra in compagnia!
Le “She-Motorhead” londinesi, ci ribaltano con l'adrenalina di “C'mon Let's Go”, “Hit And Run”, “Not For Sale”, “Race With The Devil” o ancora “Emergency”, sottolinenado, come se ce ne fosse bisogno, il loro status elitario in un genere musicale di assoluta predominanza maschile.
Da citare anche “I Spy”, brano scritto da Tony Iommi per le quattro nasty girls inglesi, che vedeva anche la compartecipazione di Dio, al quale appunto viene dedicato questo pezzo da un'emozionata Kim McAuliffe.
Kim, Enid, Denis e Jackie suonano per divertire e divertirsi anche in memoria della loro compagna scomparsa Kelly Johnson, magari non saranno delle maestre di tecnica ma sanno di sicuro come si fa a farti agitare il culo, bentornate pestifere “ragazze”!
E' tempo di headliner, è tempo di Angel Witch, che non potevano che presentarsi con la calata delle tenebre, date le tematiche da sempre trattate nelle songs di Kevin Heybourne, magnetico padre/padrone del gruppo.
Con una setlist a dir poco emozionante, il British Steel Fest si conclude al meglio, complice anche lo spettacolo sopra le righe offerto da Kevin e discepoli, con l'aggiunta della prestigiosa ascia dei Carcass, Bill Steer, ultimo adepto ascritto al verbo della Strega Angelo.
Tutti restiamo quindi estasiati da capolavori sulfurei quali “Gorgon”, “Sweet Danger”, “Angel Of Death” o “Atlantis”, tanto per cominciare.
La chitarra di Mr. Heybourne è infuocata come non mai e, anche se il suo approccio con l'audience è quantomai criptico, non dirà infatti quasi una parola tra un pezzo e l'altro, limitandosi a presentarli col semplice titolo, poco importa, poiché dinnanzi a magniloquenze sonore del calibro di “White Witch”, o per finire gli encore della maligna “Baphomet” e l'eponima “Angelwitch” (per chi scrive una delle più belle perle di Heavy Metal in assoluto!), bastano e avanza per incoronarli come i più della serata, captando anche le emozioni a caldo del pubblico!
Quindi, se centinaia di Heavy Metal fans dai 15 ai 50 (ed oltre?) anni d'età, hanno deciso di partecipare ad un concerto/revival di una scena come la N.W.O.B.H.M., significa che forse forse tanto superata e dimenticata non è, perchè quando la semplice qualità della musica serve a far esaltare le platee, a nulla valgono le mode, i filler e le posture da “bullo anticonformista”, questo ci insegnano ancora dalla terra di Albione, prendere o lasciare...

Report a cura di Alessio Aondio

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