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Europe - 3/10/2005 - Alcatraz - Milano

La sera più calda da tre mesi a questa parte è quella che mi trova ospite nella cittadina Milanese, sempre caotica e disorganizzata, per la difficoltà nel muoversi in auto e di trovare parcheggio, ma risolti i problemi sopra citati, mi catapulto all’ Alcatraz , nella gloriosa via Valtellina, locale scelto per questa, a distanza di pochi mesi, seconda apparizione degli Europe, band capitanata dallo storico singer Joey Tempest, e dal magico chitarrista Jhon Norum, riunitosi per la reunion della band dello scorso anno e per creare un nuovo capitolo targato Europe,il nuovissimo “Start from the Dark”.
Visto il sold out della prima data Milanese di quest’ autunno, il five pieces torna in Italia programmando addirittura cinque date, e il riscontro è notevole anche questa volta,e proprio a Milano si è registrato nuovamente il tutto esaurito e proprio in questa occasione sono presente per poter narrare quello che i miei occhi, la mia mente e ancor più il mio cuore hanno potuto percepire. Grande è l’ emozione che provo all’ ingresso, ho nel cuore questa band perché mi ha aiutato a crescere nel mondo della musica rock, e forse per dei lati è anche grazie a loro che sono arrivato al magico mondo del metallo, e al di la di illazioni scontate etichette più o meno errate che ho sentito appiccicare al gruppo, io sono dedito a loro prettamente per quello che è l’ ambito musicale, e cosi mi preparo a poter assistere a questo evento, esclusivamente concentrandomi sulla performance del gruppo, per vedere se dopo tanti anni di inattività perlomeno come band, i cinque sono ancora degli hard rocker come ai tempi d’ oro in cui infiammavano immense platee.
Il pubblico all’ ingresso e sempre più all’ interno del locale è molto assortito, vi è anche una buona presenza del gentil sesso, e per lo più i ragazzi presenti sono molto giovani anche se non manca qualche nostalgico con qualche anno in più esclusivamente sulla carte di identità, un po’ come mi auguro saremo noi fratelli del metallo tra parecchi anni, e prima che il locale sia completo di tutte le presenze sul palco salgono i nostrani Mantra, band hard rock che avevo avuto l’ occasione gia di vedere al Gods of metal, e che gia allora aveva suscitato consensi, e che questa volta si dice sia stata scelta direttamente dallo stesso Joey Tempest, e appena le luci si sono fatte soffuse è partita la loro buona scarica di hard rock.
Il suono dei Mantra è si rifà molto agli anni 70 ma risulta molto fresco per quello che la modernità dei suoni permette, peccato che la loro energica performance risulti molto fiacca a causa di un suono molto basso di volumi e con una cattiva regolazione, in particolare per quel che riguarda la voce del singer, davvero coperta da un basso che soffoca tutto, cosi un’ ottima performance viene praticamente accolta con gelo dal pubblico che guarda ma non accenna ne a muoversi ne a scaldarsi in alcun modo.
I mantra suonano per una mezzora circa proponendo maggiormente pezzi dall’ ultimo e ottimo album hard times, quello che rimane al pubblico e a questa importante serata è solo la delusione che la loro poteva essere davvero un ottima prestazione se solo chi di dovere avesse regolato i suoni ad opera d’ arte. Salutato il gruppo italiano, cresce l’ attesa e cambia l’ atmosfera di un Alcatraz che solo ora si è fatto realmente pieno di gente, e lo sguardo è fisso sul palco mentre i tecnici procedono al sound check, da subito si sente la differenza di volume alle prime prove della cassa si sente la vibrazione scuotere la cassa toracica come se il cuore dentro avesse cominciato a battere in maniera spaventosa, e sale l’ emozione, che purtroppo sarà vittima di un attesa davvero lunga in quanto se la prestazione dei Mantra è durata appena una mezzora la regolazione dei suoni si è protratta per un ora, e quando anche le forze fisiche mi stavano per abbandonare un boato mi risveglia i sensi, da una porta dietro intravedo i cinque rocciosi svedesi pronti a salire on stage, calano le luci e una piccola intro fa esplodere la granitica “Go to have faith”, il suono è davvero chiaro e potente, e i cinque sembrano in perfetta forma come se nei 15 anni passati fuori dalle scene fossero stati congelati e risvegliati giusto per l’ occasione di questo e del precedente spettacoloso tour, e dopo un pezzo dell’ ultimo disco si scatena “Ready or not”, e la folla è sempre più in delirio, Joey Tempest si muove come si muoveva ai vecchi tempi girando per il palco avvicinandosi uno alla volta a tutti i musicisti, girando le spalle e “sculettando” in una sua mossa tipica sin dai primi anni ottanta quando era un ventenne e tale sembra essere rimasto.
Finita la song Joey si scusa per la voce, e mentre parla per la prima volta ci si accorge che è un po’ rauco, peccato perché gia stava facendo molto bene se fosse stato al cento per cento, lo show si sarebbe rivelato immenso, ma si procede, e Joey solo con la sua brillante voce ( quando canta la raucedine è praticamente impercettibile) introduce “Superstitious”, e per me personalmente l’ emozione è davvero tanta, tutte le splendide emozioni che ho provato quando gia da piccolo mi avvicinavo a questa band mi piombano addosso e mi fanno volare lontano, trascinato dalla musica, dalla gente che canta le canzoni dalle mani alte al cielo, è una magia che non potevo nemmeno immaginare, e mi risveglia solo l’ esplodere di “America”, forse perché non ho particolarmente apprezzato l’ ultimo lavoro della band, ma subito mi riporta al passato un introduzione vocale ad un’ altra gemma del passato qual’ è “Wings of tomorrow” e senza nemmeno il tempo di prendere fiato ecco esplodere la splendida “Let the good times rock”, davvero trascinante tratta da quello che per me è forse il miglior album della band che è “Out of this world”.
I presenti ormai sono nelle mani della band e anch’ io mi sono completamente abbandonato al sound e mi sono sentito catapultare nei mitici ottanta, i miei occhi sul palco ormai è come se vedessero degli energici ventenni che hanno saputo ferare il tempo per rendere immortale la loro musica,e mentre i sogni mi hanno rapito la dolcezza della ballad radiofonica dell’ ultimo album dal titolo “Hero” emoziona i cuori dei presenti e in particolare chi è in dolce compagnia si abbandona all’ amore trasportato dalla melodia, ma le dolci coccole si interrompono con l’ esplosione di “Wake up call”, seguita senza respiro da “Sign of the time”, memorabile e perfettamente eseguita.
Ci si può rilassare un attimo per un bel assolo di chitarra di John Norum, che sa miscelare elegantemente tecnica e melodia, e subito esplode “Start from the Dark” , è molto evidente come sia differente il suono delle chitarre molto più pesanti e moderne per i brani dell’ ultimo album e più classiche per i brani di vecchio stampo scelta condivisibile perché permette di non snaturare i primi e di non rovinare i classici che siamo abituati a gustare in questo modo impeccabile, e dopo questo brano Joey Tempest che per più di un brano aveva abbracciato una chitarra elettrica impugna l’ acustica e chiede al pubblico di aiutarlo a cantare, e qui la folla davvero canta a squarcia gola una splendida versione acustica di “Carrie”, e in questo continuo alternarsi tra presente e passato alla fine di questa splendida song ancora un scarica con Flames che ci introduce alla “zona calda” dove ormai la gente scalpita per i classici e si comincia con “Rock the night”, e credo di non aver molte parole per descrivere come il pubblico sia totalmente ebbro di musica, e cantando e saltando un’ intro di piano ci catapulta a “Seven doors hotel”, seguita a raffica da “Cherokee”.
Il pubblico è esausto, e ormai sembra arrivato un istante che bene o male era atteso da ogni presente, e un fragore accompagna una parte di tastiera che tutto il mondo conosce che ha esaltato milioni di persone, che ha fatto da colonna sonora a film e ha filmati sempre con un energia incredibile, ed esplode nella sua cavalcata finale “The final countdown”, tutti e vi posso assicurare tutti i presenti me compreso hanno cominciato a saltare a ritmo e l’ energia era tale che se fosse stata raccolta avrebbe alimentato mezzo mondo per tutto quest’ anno, che pezzo incredibile, forse per qualcuno sarà troppo commerciale per altri troppo semplice o scontato per me è solo The final countdown il conteggio finale che ha scandito la fine di questo concerto che ho atteso sin dalla mia infanzia che ho vissuto e goduto appieno e che mi ha fatto capire che ancor oggi gli Europe sono una band incredibile e travolgente, e che mi ha fatto capire che per sempre al mondo per un momento di gloria c’è una colonna sonora scritta per l’ eternità.

Report a cura di Davide Magatelli

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