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Sonisphere Festival Svizzera 2011 - 6/24/2011 - St.Jakob Area - Basilea

Basilea, zona stadio St.Jakob, 2° giorno del Sonispher Festival 2011 svizzero.

Dopo il clamoroso flop dello scorso anno nelle campagne di Zurigo con i Big Four, rovinati dalla totale presenza di fango paludoso in tutta la zona concerti (e chi c’era se lo ricorderà bene), l’organizzazione avrà sicuramente subito delle conseguenze non indifferenti da parte delle tante persone amareggiate e devastate dalle situazioni precarie di un evento di tale portata. Ecco così che si rifà tutto da zero: questa volta la location scelta è la zona stadio St.Jakob nella splendida Basilea, città comoda da raggiungere da diversi paesi europei, compresa la nostra Italia. Questa opzione si rivela molto buona, senza pericolo del tanto temuto fango e sfruttata al meglio con l’uso di ben quattro stage per le tante band presenti, uno esterno, il main stage, e gli altri tre indoor, di cui uno molto simile al meneghino Mediolanum Forum e i restanti due poco più grandi di una normale palestra. Sorvolando l’eccessiva distanza tra il main stage e i restanti palchi (più di 10 minuti di camminata) anche il resto risulta essere molto più studiato dell’anno precedente: tanti stand, da noi evitati visti gli eccessivi prezzi aggravati dal cambio valuta inesistente (1 euro = 1 franco, una felpa dei Maiden constava 100 franchi, fate voi i conti), prato erboso, platee per vedere i concerti comodamente seduti. A rendere il tutto più piacevole un bel tempo accompagnato da una leggera brezza estiva ha permesso di godersi a pieno la giornata, anche grazie alle numerose zone d’ombra presenti nell’area.
Il nostro repert comprenderà solo ed esclusivamente il secondo giorno, tralasciando la prima giornata con poche band presenti e da noi non seguite. Spazio dunque a una lunga sfilata di formazioni prevelentemente metal, a differenza di tante altre edizioni europee comprendenti anche diverse realtà rock.

Cataract
Arriviamo al Red Bull stage quando gli svizzeri hanno gia iniziato la loro esibizione nel primo pomeriggio. La band gioca in casa ed è dunque supportata a dovere da parecchi connazionali, che ben rispondono alle bordate thrash-deathcore proposte. Per rompere il ghiaccio non si poteva scegliere formazione migliore, ben presente sul palco e abile nel gestire un platea infiammata dal genere proposto, non propriamente originale ma comunque di forte impatto. Forte anche di ottimi suoni il combo di Zugo porta a casa un pollice in sù e da il meritato via a una giornata ricca di buona qualità.

Gojira
Dopo aver girovagato la zona concerti per prendere familiarità e aver assistito a una manciata di pezzi dei Mr.Big (da quel poco che abbiamo visto in ottima forma), torniamo al Red Bull stage per l’esibizione dei francesi Gojira. Inizia qua una delle poche note dolenti della giornata: la puntualità inesistente! a dimostrazione del fatto che il luogo comune della presunta puntualità svizzera è una enorme bufala. Con un ritardo di circa 20 minuti ecco salire sul palco i francesi sulle note di "Ocean Planet", subito scatenati e supportati a loro volta da ottimi suoni. Si continua con "Backbone", "Remembrance" e "Love" e le scapocciate in massa dei presenti danno un’ennesima dimostrazione di quanto questa band sia abile nell’ ipnotizzare l’audience con i suoi suoni contorti e pesanti, anche se a nostro modesto parere la riuscita della performance casalinga all’Hellfest 2009 rimarrà ineguagliata. Poche parole da parte del frontman Joe Duplantier, il tempo è tiranno e quindi gli oramai classici della band si susseguono senza tregua: "Oroborus", l’ipnotica "A Sight To Behold" e la pesante "Toxic Garbage Island", vero manifesto ecologista. Il finale particolarmente inteso viene affidato a "The Heaviest Matter Of The Universe" e "Vacuity", due terremoti frastornanti che esaltano i presenti e mandano a casa vittoriosa una formazione che sta pian piano guadagnando sempre più consensi.

Hammerfall
Breve pausa a prendere una boccata d’aria e ci spostiamo al Saturn stage per vedere all’azione la classic metal band svedese. Ammettiamo che il genere proposto non ci ammalia particolarmente, eppure la performance ci ha lasciato sicuramente un buon ricordo e un’ottima impressione generale sulla band, vistosamente in forma e supportata a dovere da un pubblico tutto a suo favore. Lo show è energico e trascinante, il bagaglio tecnico dei cinque contribuisce a una resa sonora live fedele alla carica epica-rockeggiante dei pezzi su disco, in particolar modo brillano il frotnam Joacim Cans, dotato di un buon carisma, e il chitarrista Oscar Dronjak, tintosi di un biondo d’orato abbastanza ridicolo. L’oretta a disposizione viene sfruttata a meraviglia, pescando brani da tutta la discografia e lasciando come chiusura gli inni storici di "Hearts On Fire" e "Let the Hammer Fall", cantati a gran voce da tutti i presenti. Anche per loro suoni ottimali a coronare una performance impeccabile e decisamente positiva.

Slipknot
Ci prendiamo un meritato break prolungato e ci posizioniamo sotto il palco principale, l’Apollo stage, aspettando l’esibizione degli oramai otto dell’Iowa. Ad ingannare l’attesa ci sono i Limp Bizkit, che senza offesa per i fans troviamo assolutamente imbarazzanti e fuori contesto in un festival del genere, e da quel che ci è sembrato di vedere dalle retrovie anche l’audience sembra stata pressapoco della nostra idea. Finita la loro parentesi constatiamo che il ritardo iniziato con i Gojira si è prolungato ulteriormente di qualche minuto, portando una reazione a catena di ritardo di tutte le esibizioni che da qui in poi si svolgeranno. Con il sole ancora alto nel cielo fanno il loro ingresso quindi gli Slipknot, una delle formazioni più attese, se non altro per vedere come si sarebbero comportati senza il defunto Paul Grey, la cui tuta viene attaccata al palco di fianco alla batteria di Jordison. Il suo sostituto suonerà per tutta l’esibizione da dietro il palco e non verrà nemmeno nominato. Con tute e maschere del debutto gli otto danno il via a uno show si coinvolgente ma comunque a prima impressione un tantino forzato e indebolito dal sole ancora alto, due fattori che non impediscono comunque agli abbondanti estratti dell’omonimo debutto di fare la loro gran bella figura. Oltre alle solite movenze scatenate dei diversi membri, è da segnalare la pazzia di Dj Sid nell’abbandonare il palco e dirigersi verso una struttura alta qualche metro per poi buttarsi a capofitto sul pubblico, tutto da programma ma fa comunque il suo bell’effetto. Giochi di fuoco e marchingegni elevatori sulla zona bidoni di Shawn e sulla batteria di Jordison danno il tocco di classe a una coreografia semplice ma efficace, quello che resta è una scatenata esibizione che vede in “Eretic Anthem”, “Psychosocial”, “Duality” e “People = Shit” gli unici estranei dal primo disco, ma quello poco importa, l’obbiettivo distruzione collettiva è stato raggiunto. C’è chi li odia o chi li ama, noi imparziali non possiamo fare a meno di notare che al giorno d’oggi formazioni come questa ci vogliono eccome. Perlomeno non siamo stati troppo dispiaciuti di aver scelto loro ai Mastodon.

Iron Maiden
La sera cala e l’aria comincia a farsi freschina ma piacevole per il pubblico presente, a dir la verità non troppo abbondante considerando i pienoni che troviamo sempre in Italia ai concerti della vergine. La coreografia è quella utilizzata nel tour della scorsa estate, il pubblico risulta comunque un tantino freddo sulle note della consueta "Doctor Doctor" degli UFO a fare da preambulo allo show, non si sono infatti sentiti i classici cori "Maiden! Maiden!" e la fomentazione generale è stata piuttosto trattenuta, forse è vero che come i metalhead italiani ce ne sono davvero pochi. Tutto comunque è pronto e i sei inglesi fanno il loro ingresso sul palco con la doppietta "Satellite 15… The Final Frontier” e "El Dorado", fin da subito i suoni sono molto buoni e puliti, l’ingresso però non è sicuramente sensazionale come quando a fare da opener c’è la storica "Aces High", questa sera scartata senza ripensamenti. Finalmente un accenno di gradimento del pubblico svizzero avviene con "2 Minutes To Midnight", storico classico che cambia volto allo show e manda sugli scudi un ottimo Bruce Dickinson, in formissima come nessun altro e sempre impeccabile nel destreggiarsi tra concentrazione sulle note alte e coinvolgimento del pubblico nella parti strumentali. Band come i Maiden non ce ne sono, una prova di questo sta nel puntare fortemente sugli ultimi pezzi, ben cinque stasera, dalla lunga "The Talisman" alle note evocative di "Coming Home" fino all’inaspettata e caratteristica "When The Wild Wind Blows", dalla resa live semplicemente stupenda. Non si dimenticano ovviamente le produzioni più recenti, rappresentante da "Dance Of Death", "Wicker Man" e "Blood Brothers", mentre dai gloriosi ’80 vengono pescate la solita "The Trooper", la piacevole sorpresa di "The Evil That Man Do", sulla quale fa il suo ingresso on stage la mascotte Eddie con i suoi oramai classici duelli contro Janick Gers, l’intramontabile "Fear Of The Dark", e il manifesto per eccellenza "Iron Maiden", dove anche in questo caso un Eddie gigante sbuca da sotto il palco a coronare uno dei momenti caldi dell’intero concerto. Breve pausa e la tirpletta storica “The Number Of The Beast”, “Hallowed Be Thy Name”, “Running Free” chiude maestosamente uno show di alta classe e che come al solito lascia da pensare sul perchè questa band ha toccato vette irraggiungibili da qualsiasi altro gruppo nato negli anni a seguire. Inutile sottolineare la professionalità di musicisti come mr. Dave Murray, Adrian Smith, Nicko McBrain e l’immortale Steve Harris quando ci si allontana pian piano col sorriso stampato sulle labbra da uno show del genere.

In Flames
Il piatto forte è andato, la voglia di musica ancora no e ci dirigiamo quindi nella zona indoor indecisi tra In Flames e Kreator. Dopo una breve occhiata alla band del buon Mille e notare con dispiacere dei suoni pessimi optiamo così per lo show della formazione svedese, da poco uscita con il nuovo "Sounds Of A Playground Fading". Il tempo di partire con "Cloud Connected" e ci accorgiamo subito che anche in questo caso i suoni sono orribili, come se non bastasse Fridén non è assolutamente in serata, due elementi che penalizzeranno fortemente lo show, che risulta essere il più debole della giornata. I brani scorrono via veloci senza incidere troppo sull’audience, comunque abbastanza calorosa nell’accogliere la band di Gothenburg ma visibilmente stanca dopo tutti i concerti della giornata. Come al solito la setlist è improntata sulle produzioni recenti, spazio dunque ai brani dal ritornello facile e cantabile quali "Trigger", "Alias", "Pimball Map", "Only for the Weak", "The Mirror’s Truth" e chi più ne ha più ne metta. Dall’ultimo studio album vengono estratta solo "Deliver Us" e "Where the Dead Ships Dwell", abbastanza ben accolte dai presenti e dalla resa live abbondantemente azzeccata. Occhi puntati su Niclas Engelin, sostituto dello storico Jesper Strömblad e che dispiace dirlo non vede neanche lontanamente le capacità del suo illustre predecessore, ben più dotato tecnicamente e dalla presenza scenica maggiore. Il tempo per maturare l’avrà comunque, non è tuttavia lui la pecora nera dell’esibizione, che vede come capro espiatorio il gia citato Fridén, quasi imbarazzante in brani come "Come Clarity" e soprattutto "Take This Life". Del resto le sue prestazioni altalenanti sono conosciute, quello che non capiamo è come mai su cd lo stesso frontman predilige le linee vocali pulite mentre in sede live le trasforma in voci roche assolutamente fuori contesto e ben più impegnative per le sue corde vocali. Mistero della fede. Sarà l’ora, sarà che dopo aver visto i Maiden qualsiasi altra band che viene potrà sembrare di minore impatto ma questa esibizione è da dimenticare al più presto. Da rivedere.

In Extremo
Ultima band della giornata gli In Extremo, saliti sul palco del Saturn Stage con quasi un’ora di ritardo. Alle 2.45 i presenti sono ancora pochi e uno show dalle premesse piacevoli e festaiole si trasforma in uno spettacolo buono e nulla più. Decidiamo di assistere a una manciata di pezzi e di dirigerci al più presto il albergo, del resto ci siam pur sempre svegliati alle 5 di mattina. Questi tedeschi sono sicuramente simpatici e divertenti, un peccato che non passino praticamente mai nella nostra penisola, la dimostrazione la otteniamo con veri e propri inni da festa medievale come "Frei zu sein" e "Vollmond", cavalli di battaglia cantanti a squarciagola dai supporter grazie anche al linguaggio tedesco parlato dai nostri vicini di casa. Il tempo per farci un’idea più che positiva e i nostri neuroni ci richiedono un urgente bisogno di riposo. Da rivedere in un altro contesto (portateceli in Italia).

Report a cura di Thomas Ciapponi

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