Gods of Metal 2011
22/06/2011
Fiera Milano
Milano
Ricca di novità e piacevoli sorprese questa edizione un pò "anomala" del Gods of Metal 2011 si apre all’insegna di un brutto tempo che però alla fine grazierà il copioso pubblico presente.
La nuova location, l’Arena Concerti della nuova Fiera di Milano, conferisce un tocco di "novità". Note positive sono sicuramente i numerosi stand del cibo, molto vari nelle proposte e onesti nei prezzi. Novità quasi assoluta per un festival italiano è la presenza di numerosi cestini per l’immondizia che hanno consentito al popolo del metallo di rivelarsi più civile di quanto ci si possa aspettare.
L’apertura è affidata ai Baptized in Blood, quartetto thrasher di origine canadese molto spinto dalla propria etichetta, la Roadrunner Records. I suoni non si dimostrano sempre al top, la band al contrario sfodera pezzi molto convincenti. Certo il genere ha oramai toccato i suoi apici due decadi orsono, tuttavia con questi Baptized...non mi stupirei troppo se un bel giorno, non molto lontano, il genere tornasse ai fasti del passato.
Non molto soddisfacenti i Cavalera Conspiracy che non si dimostrano certo all’altezza delle aspettative visto il valore di alcuni membri, passa quasi inosservato mentre il cielo si addensa di nuvole e si comincia a temere quella pioggia che fortunatamente non arriverà mai. Vengono proposti brani interessanti quali Warlord”, “Inflikted”, “Black Ark” durante quest’ultima appare anche Richie Cavalera, figlio del buon vecchio Max.
Per chi non lo conoscesse Duff (Che nulla a che vedere con la birra Duff dei Simpson) McKagan è stato bassista storico dei Guns n’ Roses dei tempi d’oro, quelli di "Appetite for Destruction", dei due "Use Your Illusion" e del fallimentare "The Spaghetti Incident?".
Musicista eclettico e polivalente, ha suonato batteria e ora con i suoi nuovi Duff McKagan’s Loaded lo troviamo alle prese con voce e chitarra.
Passi per la sei corde suonata in maniera più che discreta, il genere proposto certo aiuta, ma se in oltre 25 anni di onorata carriera Duff non ha mai prestato la sua voce, un motivo ci sarà.
Una prova non molto entusiasmante a dire il vero, anche la proposta di una cover dei Guns, "So Fine" non cambia le carte in tavola, anzi anche la scelta della stessa cover è alquanto discutibile.
Gli Epica si odiano o si amano, certo è che se da quelli che probabilmente saranno gli eredi di vari Nightwish e Within Temptation ci troviamo concerti di questo tipo la salita verso il trono delle star del metal diventa davvero ripida.
A penalizzare un prova non sempre all’altezza ci pensano dei suoni davvero pessimi, la povera Simone Simons si trova spesso in difficoltà per problemi al radiomicrofono.
In parte la front-girl compensa i vari problemi con tanta simpatia e spontaneità, qualità tutt’altro che scontate in una band gothic.
Certo questo non basta e auspichiamo che questa sia solo una nera parentesi isolata nel futuro nella band olandese.
Non c’erano molte aspettative per i Cradle of Filth, già la loro presenza sapeva tanto di mosca bianca in un contesto dominato da sonorità prettamente più classiche.
Oltre tutto la stessa band ha dimostrato ancora una volta di essere ormai alla frutta, non basta certo un nuovo taglio di capelli da parte del frontman per risollevare una formazione che negli anni ha perso sempre più smalto.
Non si possono nemmeno incolpare i suoni, il povero Dany prova a far presa su un pubblico che proprio non ne vuole sapere. Si salva giusto il drummer Martin Skaroupka che sembra essere l’unico davvero in forma. Per il resto meglio approfittare di una salutare pausa "hot dog" dato che sta per arrivare un poker di ottime esibizioni.
Si inizia a far sul serio con gli statunitensi Mr.Big, il quartetto vanta musicisti di un certo calibro tra cui spicca certamente l’eclettico chitarrista Paul Gilbert che si prende i meritati spazi per dar sfoggio di una tecnica sopraffina.
L’energia sprigionata dalla band è decisamente al di sopra della media, Eric Martin, il frontman, non fatica a calamitare su di sé l’attenzione di un pubblico già ipnotizzato a dovere.
“Take Cover”, “Green-Tinted Sixties Minds”, “Colorado Bulldog”, “Daddy, Brother, Lover, Little Boy”, “American Beauty” ed una conclusiva “Addicted To That Rush” sono solo alcune delle songs che hanno reso unica questa performance.
Quando si parla di "Europe" si pensa subito a “Carrie” e ovviamente all’intramontabile "The Final Countdown", canzoni che ovviamente non possono mancare in nessuna set list dell’act svedese, pena il linciaggio da parte dei ma soprattutto delle numerosissime fans.
Il frontman Joey Tempest non si lascia scoraggiare dalla performance della band precedente e mette subito in tavola carte di tutto rispetto. Si toccano i livelli e i fasti del passato su songs come "Scream Of Anger” e “Rock The Night”, certo l’esibizione è lievemente altalenante ma sicuramente non ci si può lamentare di una prova che lascia tutti quanti soddisfatti.
Il tempo vola quando ci si diverte ed ecco quindi arrivare già il penultimo concerto di questo "Gods of Metal 2011" con i Whitesnake con David Coverdale e un nuovo album, “Forevemore”, ancora fresco di stampa.
Un frontman non più giovanissimo dimostra di possedere una notevole forma fisica che gli consente di cantare quasi come da cd, scappano un paio di stonature, forse più per la voglia di strafare che per effettivi handicap dovuti all’inesorabile passare del tempo.
Resta quindi quasi senza macchia una prova davvero magistrale dove passano brani da brivido come "Give Me All Your Love”, “Love Ain’t No Stranger”, “Fool For Your Lovin” e la ballad “Is This Love”. Il tutto reso ancora più unico da uno stupendo guitar solo, forse tattico ma pure sempre spettacolare, ad opera di Doug Eldritch.
Si chiude con “Still Of The Night”, per lasciare il giusto spazio ai leader della serata.
Lasciamo il commento dell’esibizione degli Headliner al nostro fido collaboratore Alessio Aondio, vero e proprio esperto in materia.
Ecco che, calate le tenebre anche su Rho, i Judas Priest possono finalmente salire sul palco per chiudere alla grande questo Gods edizione 2011.
Per la terza volta il Prete Di Giuda fa da headliner a questa manifestazione italica, per la terza volta nessun presente potrà lamentarsi dell’operato di Halford & Co., sebbene orfani dell’ unico K.K. Downing presente sul globo!
Bando alle ciance, “Rapid Fire”, è proprio il caso di dirlo, apre il fuoco sull’ Arena Concerti, regalandoci la prima delle ventuno pagine di storia dell’ Heavy Metal, narrate da chi l’ha codificato per noi a partire dalla seconda metà dei 70’s, spogliandolo delle reminiscenze Hard per renderlo inossidabile nel tempo.
“Metal Gods” ed il suo mid tempo rallentano i ritmi mentre la folla esplode sul chorus, come succederà molte altre volte questa sera, dato che si tratta dell’ “Epitaph” tour e la band sarà impegnata nell’eseguire brani da tutti gli album (con Halford!).
Le emozioni si susseguono senza posa, quindi “Heading Out To The Highway” è un’altra schiacciata a tutto braccio, mentre va notato come la gente apprezzi anche pezzi recenti quali “Judas Rising”, la quale non sfigura affatto nell’economia dello show.
Tuttavia, è con la doppietta successiva che, a mio avviso, si raggiunge l’apice di questa serata, tanto netta è la dimostrazione di superiorità dell’ act di Birmingham nei confronti di qualsivoglia “opponent” in campo Heavy Metal, “Starbreaker”, irruente e diretta, seguita da “Victim Of Changes”, magnificamente cantate da “God” Halford himself (con tanto di pauroso acuto finale!) nonché suonata alla grande anche dal nuovo acquisto Richie Faulkner (per tutto il concerto molto impegnato tra solos e chitarre acustiche, non stona per nulla, rivelandosi una scelta obbligata ma azzeccatissima) si ergono ancora, dopo più di trent’anni, tra la miriade di canzoni che pur sembrandoci valide, scompaiono dinnanzi alla perfezione vergata dai Judas Priest.
Si prosegue senza alcun riposo, anche dopo tali scariche emozionali, citando addirittura “Never Satisfied” da “Rocka Rolla”, per poi passare alla prima delle classiche cover eseguite dai Priest, una struggente versione di “Diamonds And Rust” di Joan Baez, prima che la marziale “The Prophecy” ci ridoni una sana scarica metallica.
Inizia a sentirsi la stanchezza, non sul palco ma tra il pubblico, ciononostante tutti i presenti applaudono e si ritengono soddisfatti dalla prestazione del gruppo, che aveva per incognite la tenuta dell’ugola di Rob e le doti del neo assunto Faulkner.
Nessun dubbio invece sulla sezione ritmica con le consuete due pose di Ian “The Man” Hill, incalzata dal drumming di Scott Travis, che accompagna una gran bella versione di “Night Crawler”, seguita dalla apprezzatissima “Turbo Lover”, che ci fa sentire beati e tamarri come non mai!
Attenzione alle coronarie, arriva “Beyond The Realms Of Death” (definita da Halford “A classic one”), cupa e drammatica, ottimamente posta prima di “The Sentinel”, altro picco vertiginosamente alto di questo Gods 2011, esecuzione magistrale per una delle più belle song mai partorite da mente Heavy, pezzo nel quale la premiata ditta Halford/Tipton diventa un tutt’uno di sfavillante brillantezza.
Il lento ma epico di “Blood Red Skies” e l’altra cover “The Green Manalishi (With The Two Pronged Crown)”, riportano quantomeno su livelli “umani” la situazione cardiaca, nonostante le due song in questione siano gradite dal provato audience e Mr. Halford tenga ancora alla grande, tra cambi di “divisa” e mossettine fin troppo accentuate!
I sei pezzi che chiudono questa edizione del Gods of Metal sono dei classici mondiali sempre presenti nelle scalette del quintetto britannico, a partire da “Breaking The Law”, che Rob Halford sceglie di far cantare interamente a noialtri in platea, riposando così le sue corde vocali e rendendoci partecipi allo stesso tempo della buona riuscita di questo Inno.
Unica piccola “nota dolens” del concerto Priestiano, la prova del Metal God su “Painkiller”, ancora gracchiante e rauca, a mio avviso si potrebbe anche rinunciare a questo Capolavoro, giusto per non mettere troppo a dura prova la già ampiamente sollecitata gola di Rob.
“The Hellion” in base registrata crea di nuovo un vocio compiaciuto tra di noi, dato che (lo sanno anche i sassi!) “Electric Eye” cade implacabile su Rho, scaricando energia ad ogni nota, così come il rombo della custom su cui siede Halford apre “Hell Bent For Leather”, cantata ancora all’unisono dai presenti che, a questo punto starebbero tutta la notte a sentire i classici del Prete d’ Albione.
La più ritmata ed immancabile “You’ve Got Another Thing Comin’”, anche qui con grande partecipazione dei fans, dovrebbe sancire la fine dello show, abbondante ed emozionante oltre ogni aspettativa, dato che, l’ultima volta che ebbi occasione di sentirli, proprio il frontman fu il punto debole della serata.
Sorpresa, lo spettacolo deve continuare, almeno per la durata di “Living After Midnight”, ennesimo superclassico che toglie completamente il fiato ai presenti, coi Judas Priest che ci ringraziano per essere venuti e noi che, dal canto nostro, non possiamo che genufletterci ancora una volta dinanzi a questi, superbi, Metal Gods!
.: Foto :.
.: Judas Priest
.: Whitesnake
.: Europe
.: Mr. Big
.: Cradle of Filth
.: Epica
Report a cura di Paolo Manzi e Alessio Aondio
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