Milano, Arena Fiera Rho, The Big 4 Italia
Chiesti a gran voce gia dal 2009, i Big Four fanno finalmente tappa in Italia per una data esclusiva e interamente dedicata a loro, ospitata anche in questo caso, come nella maggior parte degli eventi metal di questa estate, all’Arena Fiera Rho di Milano, location tanto spaziosa e comoda quanto discutibile dal punto di vista dell’agibilità. Se da un lato l’arena riesce a contenere una grandissima affluenza da vero e proprio evento musicale, l’altra faccia della medaglia mostra una distesa d’asfalto opprimente e facilmente tramutabile in una gigantesca griglia da bistecche se ci si trova con il sole estivo alto nel cielo, cosa che guarda caso è avvenuta proprio all’attesissimo concerto. Aggiungiamo la scarsità dei servizi pubblici e della totale assenza di acqua corrente per farvi capire precisamente in che situazione ci si trovava, un vero e proprio inferno torrido che neanche in Texas devono sopportarsi. A rincuorarci troviamo comunque un palco molto spazioso e la presenza di due megaschermi adeguati per seguire il concerto anche nelle retrovie. Cosa che invece ci infastidisce è l’ennesima presenza del tanto discusso pit, posto come al solito appena sotto lo stage e preso letteralmente d’assalto dai primi arrivati. Noi decidiamo di posizionarci appena davanti al mixer per goderci il concerto in una zona non eccessivamente opprimente e ideale dal punto di vista della visibilità, cosa che verrà comunque leggermente compromessa dalla forte affluenza che in serata sfiorerà il sold-out.
Anthrax
Dopo un paio di snervanti ore di attesa sotto la stecca del sol leone ecco che finalmente ha il via lo show dell’anno, aperto dai newyorkesi Anthrax e dalla loro energia crossover. In un orario ostico la band, orfana momentaneamente di Scott Ian sostituito da Andreas Kisser dei Sepultura, riesce a dare una prova convincente e decisa, riuscendo a pieni voti nell’ostico compito di far dimenticare almeno in parte le bollenti temperature meneghine. Lo fanno iniziando con "Caught In A Mosh" seguita a tappeto dalla cover "Got The Time" e dal classicone "Madhouse", tre brani per notare dei suoni piuttosto confusi e una certa resa chitarristica buona ma non di certo alla Anthrax, complice anche di sovrastare in queste prime battute la voce di un Belladonna in buona forma. La riuscita dello show prende una svolta in "Indians", dove entra a sorpresa sul palco Scott Iann che si aggiunge ai gia due chitarristi presenti sul palco, formando un vero e proprio triplo attacco d’asce e andando a colmare la lacuna descritta poco sopra. Con Scott sembra apparire anche quella carica goliardica che contraddistingue la band: brani come "Metal Thrashing Mad" e "I Am The Law" divertono e fanno divertire, quest’ultima introdotta da un accenno a "Refuse/Resist" dei cari vecchi Seps, una sorta di contentino per il professionale Kisser. Stupisce poi la scelta di inserire in scaletta pezzi inusuali quali "Medusa" e "Only", sacrificando classiconi forse più scontati ma fondamentali per la resa massima dello show, che si attesterà invece su un livello buono e nient’altro, penalizzato anche dall’inedito "Fight’em Till You Can" messo li in mezzo e che a dir la verità convince ben poco. Una buon primo boccone comunque.
Megadeth
A detta un po di tutti lo show dei Megadeth si è rivelato quello più debole e deludente della giornata. Come dargli torto. Del resto sentire Dave Mustaine in quelle condizioni vocali è veramente imbarazzante, non che sia mai stato un portento anzi! ma un pizzico di coinvolgimento e di forza di volontà in più non avrebbero guastato. A prescindere da questo è comunque discutibile la scelta di aprire il concerto con dei midtempo come "Trust" e "In My Darkest Hour", dei brani più da metà setlist, penalizzanti sia per i ’deth stessi che per il pubblico, un po perplesso e ancora freddo nella risposta, insomma oggi si voleva del thrash no? L’impressione è quella di assistere a un’esercitazione di shredding piuttosto che ad un’esibizione live vera e propria, ne riceviamo la prova con il cavallone di battaglia "Hangar 18", sempre piacevole ma anche qui congelato dall’assenza scenica di MegaDave e soci. Senza nessuna sorpresa i brani si sussegguono lentamente, dalle più recenti "Headcrusher" e "1,320" alle gradite "Poison Was The Cure" e "Sweeting Bullets", proponendo poi anche l’inedita "Public Enemy N.1", che, come nel caso degli Anthrax, poco esalta e non si veda l’ora che finisca. Dopo aver giocherellato a sufficenza viene poi l’ora della sfilata dei classiconi immancabili e dalla funzione salva-show, ecco dunque "A Tout Le Monde", "Symphony Of Destruction" e "Peace Sells", sulla quale entra sul palco una sorta di Rattlehead che sa tanto di scoppiazzatura di Eddie mal riuscita, l’epitaffio di un disastro scenico che può vantare solo di una presenza tecnica ineccepibile. "Holy Wars... The Punishment Due" chiude dunque come da copione un’esibizione non memorabile e indubbialmente la più debole della giornata, molto, anzi troppo penalizzata dalla voce del leader. Sarà per la prossima.
Slayer
Sembra incredibile ma finalmente abbiamo assistito ad un esibizione degli Slayer degna del loro nome, da quanti anni non succedeva? Ok bando alle ciance e ciancio alle bande, sarà la presenza non indifferente di Gary Holt come sostituto dell’infetto Hanneman, sarà un Tom Araya maledettamente emblematico, sarà quel che sarà ma il quartetto di Los Angeles spazza letteralmente via ogni dubbio sul proprio stato di forma sulle note di "World Painted Blood", indebolita soltanto da dei volumi troppo bassi e chiamati a gran voce nelle le pause tra un pezzo e l’altro, e ovviamente puntualmente ignorate. Poco importa, la carica sprigionata da questa esibizione è talmente grossa da poter demolire ogni singolo difetto, le armi a disposizione vengono usate adeguatamente e la pura e semplice malvagità dei quattro prende il sopravvento su ogni cosa. A cavallo tra il vecchio e il recente si sussegguono tante piccole dinamiti esplosive che rapiscono una folla vogliosa di riffoni cattivi, accontentata con "War Ensamble", "Dead Skin Mask" o le inusuali "Black Magic" e "Dittohead", le quali evidenziano una prova grandiosa di Lombardo e un certo affiatamento del gia citato Holt, tanto da chiedersi se per il leader degli Exodus non è il caso di abbandonare le sue discutibili composizioni moderne della sua main band e convincere gli Slayer a prenderlo in pianta stabile. Ok vaneggiamo ma sarebbe grandioso. A chiudere le porte del mattatoio ci pensano le vere e proprie immancabili bombe: "South Of Heaven" e ""Raining Blood" non fanno fatica a invogliare i presenti al pogo selvaggio, mentre in "Angel Of Death" notiamo con piacere Araya che si sbilancia nell’urlo iniziale recentemente mai sentito, il resto è pura apoteosi thrash. Applausi dunque per questa leggendaria formazione che nel 2011 ancora non si arrende nonostante tutto e la cui insistenza si premia da sola con esibizioni come quella di oggi.
Metallica
Il sole non c’è più e un filo d’aria serale riesce a farci godere al meglio l’ultima esibizione della giornata, quella degli headliner Metallica, introdotta come da tradizione dalla scena finale de "Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo" di Sergio Leone. Inutile negare che la stragrande maggioranza dei presenti è qui per loro e la band ha tutti i mezzi a disposizione per ripagare al meglio questa affluenza: un comparto scenico semplice ma dotato di megaschermo centrale da infarto, un gioco di luci spettacolare, una setlist da infarto e il solito Lars Ulrich da bersagliare per eventuali battutine e sfottò (lo show prevede anche questo). Partenza a dir poco adrenalinica con "Hit Thr Lights" e "Master Of Puppets", quanto basta per scatenare la platea e ritrovarsi immersi in un mare di braccia sbraitanti e ad un coro unanime di voci che cantano a squarciagola. La band risponde e vede in Hatfield il solito grande mattatore, supportato dall’ineccepibile Trujillo e dal chitarrista Kirk Hammett, questa sera in buona forma. I fan di vecchia data questa sera potranno tornare a casa più che soddisfatti, vengono infatti proposte "Seek & Destroy", la sempre spettacolare "Welcome Home (Sanitarium)" e la leggendaria "Ride The Lightning", pane per i denti di chi è nato con la cultura heavy metal nel sangue, una dimostrazione di quanto i quattro questa sera siano particolarmente vogliosi di adrenalina e divertimento senza limiti, cosa che esalta fin troppo il solito impreciso Ulrich, agitato e spesso alzato dal seggiolino per esibirsi nella la sua solita sceneggiata nel "suonare" la batteria stando in piedi, un venditore di pentole avrebbe sicuramente fatto di meglio. Giusto per contratto viene proposta come unica estratta dall’ultima fatica del gruppo "All Nightmare Long", snobbata e circondata dall’inusuale "Through The Never" e dalla storica "Sad But True", tra le quali James non perde l’occasione per ringraziare i presenti e spendere le solite parole d’elogio verso l’Italia, cosa che può sembrare costruita a tavolino ma che stasera è sembrata quanto mai sincera e sentita. Ci immergiamo nella parte calda con la strumentale e orgasmatica "The Call Of Ktulu", la solita atmosferica "One" e i suoi giochi pirotecnici, la sempre gradita "For Whom The Bell Tolls", la bomba atomica "Blackned" e l’immancabile "Fade To Black", unica vera e propria ballatona vista l’assenza molto gradita delle quasi fastidiose “Nothing Else Matters” e “The Unforgiven”, insomma un vero e proprio concerto metal, grintoso e scatenato. A chiudere la prima parte ci pensa "Enter Sandman" e i suoi fuochi d’artificio, giusto il tempo per una breve pausa e far salire sul palco tutti (quasi) i membri dei Big Four per la jam cover collettiva di "Die Die My Darling" dei The Misfits. Ci chiediamo perchè Kerry King e Araya sono entrati sul palco a salutare ma non per partecipare all’allegra cornice famigliare, misteri vip. A chiudere i battenti ci pensano poi "Damage Inc." e l’attesissima e richiestissima "Creeping Death", con tanto di palloni neri gonfiabili targati Metallica lanciati sulla folla dall’alto del palco. Un’apoteosi finale per uno show pieno di pro e con un solo contro, lasciamo immaginare qual’è vero Lars? Memorabile soprattutto la setlist proposta, meglio di così proprio non si poteva chiedere e, tanto per essere chiari, gli italiani hanno dimostrato ancora una volta, nonostante tutti gli sfottò dall’estero, di essere una delle audience più invidiabili al mondo, e questo James lo sa!
Report a cura di Thomas Ciapponi
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