Causa orario ed impegni vari, arriviamo all’Alcatraz proprio mentre stanno per iniziare i 3 INCHES OF BLOOD, entrando subito in contesto “live”.
I cinque canadesi, sostenuti da una buona acustica, non si fanno certo intimidire da chi verrà dopo di loro, gasando a dovere i fans inneggianti sotto lo stage (quello secondario) del celebre locale milanese.
Ora che la quasi totalità delle vocals è affidata al biondo Cam Pipes, tutto va per il meglio a mio avviso, dato che il loro Heavy/Power davvero sostenuto, non necessita di screaming come in precedenza ma, in ogni caso, laddove ce ne fosse bisogno, anche il chitarrista Justin Hagberg vomita la sua rabbia nel microfono.
“Leather Lord” apre le ostilità, seguita da un cavallo di battaglia come “Deadly Sinner”, pezzi che scagliano secchiate di adrenalina sulla platea che sembra soddisfatta dei cinque di Vancouver, i quali non lesinano nuove schegge quali “Metal Woman”, dall’ultimo “Long Live Heavy Metal” appunto.
Non c’è tempo da perdere per i convenevoli e i nostri di certo non sono nell’ottica di farne, con “Battles And Brotherhood” e “The Goatrider’s Horde” i 3 Inches Of Blood chiudono il breve ma intenso show, scaldando a dovere un locale che andrà gradualmente riempiendosi in attesa degli immortali statunitensi.
Alle nove spaccate ecco che, a luci spente, fanno il loro ingresso gli OVERKILL, gruppo inossidabile che fortunatamente tocca le nostre lande ad ogni nuovo tour, in questo caso per supportare il validissimo “The Electric Age”.
Dalla recente “Come And Get It” vengono subito messe in chiaro due cose che Bobby “Blitz” Ellsworth & Co. non invecchiano mai e che, al solito “they came to shred!”. Si prosegue con “Bring Me The Night”, altra bordata dal precedente “Ironbound”, che esalta le capacità solistiche del fido Dave Links, efficace e chirurgico.
Primo tuffo al cuore con “Rotten To The Core”, una delle più celebri “hit” dei Thrasher di New York City, che scatena pura esaltazione tra il pubblico più o meno giovane ma, se l’età non conta per loro, dovrebbe per noi? Si nota che la line up, stabile ormai da sette anni, è rodata perfettamente, esempio ne sia la sezione ritmica, composta naturalmente dal fondatore D.D. Verni (e dal suo catacombale sound) e dal validissimo martello Ron Lipnicki, ultimo arrivato in casa Overkill.
Eccettuata “Hello From The Gutter”, la parte centrale del concerto è dedicata alla produzione più recente del sempre prolifico combo americano, brani quali “Electric Rattlesnake”, “Ironbound” o la più cadenzata “Thunderhead” fanno comunque il loro sporco lavoro, dimostrando che Mr. Blitz e soci azzeccano sempre una manciata di nuove song in ogni lavoro, anche dopo più di trent’anni di onorata carriera!
Manco a dirlo, proprio la punkeggiante “Old School”, apre lo spazio “amarcord” dello show verde/nero targato Overkill, arriva molto gradita “Who Tends The Fire”, lunga ed epica, che crea l’atmosfera giusta per le legnate finali.
“Blitz” non la smette di ringraziare il pubblico convenuto, consapevole dell’esaltazione continua che si respira in Italia durante uno show di tale intensità, il miglior ringraziamento possibile arriva con l’inno “In Union We Stand”, davvero cantata a squarciagola da tutti i presenti.
“Elimination” squarcia con la sua velocità le nostre energie residue e manda un attimo i cinque “bad boys” off stage, prima delle ultime perle…
“Coma” è un’altra mazzata sulle gengive che infierisce ulteriormente sul già provato audience meneghino, prima del superclassico “Fuck You”, in medley con “Powersurge”, che lascia la sua chiusura alla storica track da “dito medio”.
A loro davvero non frega niente di quello che la gente dice, cento di questi “FUCK YOU!” agli Overkill!
Report a cura di Alessio Aondio
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