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Testament - 5/11/2005 - Rolling Stone - Milano

Rolling Stone, 11 maggio 2005, in questo giorno di primavera l’attrazione della serata è rappresentata da una delle grandi icone thrash metal, gli statunitensi Testament.
I gruppi di supporto sono tre, Divine Empire, Demolition e Susperia anche se per motivi di tempo sono riuscito a vedere solo una parte della performance dei terzi, i quali proponevano un genere pesante ma difficilmente comprensibile a causa del suono troppo confuso. I brani si avvicinavano a un death non melodico accompagnate da una voce che tendeva al growl, comunque li ho sentiti troppo poco per dare un giudizio completo e corretto.
Dopo la pausa di consuetudine per la preparazione della strumentazione e il cambio palco ecco che verso le 21:40 intravedo nelle retrovie dello stage un volto a me noto che si guarda attorno mentre le sue dita si scaldano sul manico di un’ibanez rossa.
Non avendo più visto una sua foto da ormai tanto tempo mi fa un certo effetto notare le forbici del parrucchiere sono passate anche sulla testa del mitico Skolnick. Sì avete capito bene, proprio lui, il chitarrista che per molti anni aveva affrontato armato di assoli ben affilati le ritmiche del signor Peterson, oggi si presenta con capelli corti e con un aspetto un po’ più da padre di famiglia per accompagnare come ai vecchi tempi i suoi ex compagni di merende.
Alle 21:45 i nostri cinque si presentano con The Preacher seguita a ruota da The Haunting per un inizio come gli anni ’80 comandano! Il suono è abbastanza chiaro (anche perché conosco le canzoni) e dopo i dovuti saluti al pubblico da parte del sempre più monumentale Chuck Billy sì prosegue con canzoni (dal mio punto di vista) un po’ meno esaltanti come ad esempio Electric Corwn. Il frontman ci presenta lo storico bass player Greg Christian, un po’ dimagrito e visibilmente invecchiato, il quale si piazza al centro del palco per attaccare con Souls Of Black; questo pezzo, anch’esso proveniente dal periodo Testament di qualità inferiore, mi emoziona comunque di più, non toccando però i livelli d’esalto raggiunti col brano seguente, la devastante Into The Pit tratta dal secondo album The New Order; i musicisti sono tutti in buona forma, il polso di Peterson non stecca uno stoppato, Skolnick (il divo della serata) calibra bene tecnica e melodia regalandoci forti emozioni, Tempesta è un treno e anche Greg Christian conosce bene il suo lavoro. La performance del cantante è buona anche se i momenti in cui canta in growl, data la scelta della scaletta, sono veramente rari.
Trial By Fire è l’ultimo brano che chiude in bellezza la performance di Tempesta perché poi viene sostituito dal drummer presente sin dagli albori della carriera dei Testament. Louie Clemente, con qualche chilo in più rispetto alle sue ultime apparizioni nei Testament, inizia il suo turno con Practice What You Preach. L’atmosfera si placa con The Legacy, la ballad di Souls Of Black, una canzone coinvolgente in cui Skolnick esprime al meglio il suo lato melodico con un tema da favola.
Ovviamente con un gruppo di questo calibro la quiete non può certo durare a lungo e difatti il motivetto seguente è un bell’uragano thrash, Over The Wall. Anche con questo l’emozione sale e vedendo la reazione dell’audience credo che le sensazioni che mi hanno colpito abbiano contagiato tutti i presenti. Il drummer sembra in forma, suona come ha sempre suonato e svolge bene il suo compito all’interno del gruppo, però non può certo essere paragonato a colui che l’ha preceduto su questo palco; la prestazione di Tempesta, più tecnica e potente, ha fatto sì che quella di Clemente suonasse più deboluccia.
I cinque, dopo una finta uscita di scena, ritornano per lanciarci due bombe dal titolo Raging Waters e Disciples Of The Watch, i brani che vanno a chiudere un concerto che a mio parere avrebbe potuto essere migliore. Prima di tutto bisogna tener conto della durata del concerto, 1 ora e un quarto misera misera quando, avendo iniziato alle 21:45, avrebbero potuto suonare molto più tempo; la seconda pecca l’ho riscontrata nella scelta dei brani della scaletta, tra cui non troviamo due tra le mie canzoni preferite, Alone In The Dark e Burnt Offerings e la (da tutti bramosamente desiderata) opening track di The Gathering, D.N.R.
L’ultimo difettuccio ritengo sia stata la scelta dettata dalla diffusa moda d’oggigiorno delle reunion. Con questo non intendo dire che l’original line-up sia scadente, anzi, tutti musicisti che durante gli anni ’80 hanno fatto crescere una delle migliori band thrash metal la mondo, però far suonare Clemente dopo Tempesta è quasi come far cantare Blaze Bailey dopo Bruce Bruce.

Report a cura di Mattia Berera

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