Arkenemy (Simone Bonetti)
Il compito di aprire la giornata di domenica è affidato ai comashi Arkenemy, recenti autori di Believe in Myself, il loro secondo album. Il genere proposto è un death metal melodico. La poca gente presente sotto il sole sembra gradire la performance del quintetto anche se i suoni approssimativi e qualche frequente errore del gruppo non rende certo la prestazione brillante. La scalette è incentrata per lo più sul nuovo nato dal quale vengono pescate Wire the Others, Mindscanner e Knife_Blood_Pain. Tutto sommato una buona apertura di giornata.
Exciter (Donato Tripoli)
Quando sul palco del Tradate Iron Fest ho visto salire gli Exciter, il mio cuore ha smesso di battere per la bellezza di tre minuti. Avevo le lacrime agli occhi. Uno dei pilastri del Power/Thrash Metal è ancora tra di noi, e per il suo primo concerto italiano ha scelto il palco del Tradate Iron Fest. Come apertura del loro set il combo canadese ha scelto “Dark Command” (tratto dall’omonimo album del 1997), seguito a ruota da dei veri e propri cavalli di battaglia come “Victims Of Sacrifice” (tratto da Long “Live The Loud” del lontano 1985), “Violence And Force” e “Pounding Metal” (tratti dall’omonimo album del 1984), che hanno generato un pogo che definire disumano è limitativo, “Aggressor” (anch’esso tratto da “The Dark Command” del lontano 1997), “Violator” (facente parte di “Blood Of Tyrant” del 1999); la band ha presentato anche “In Mortal”, un pezzo che farà parte del loro nuovo album, altra mazzata sonora che suona esattamente come un pezzo della loro produzione degli eighties. La chiusura del loro molto limitato set è stata destinata a due veri e propri classici risalenti al debutto della band datato 1983 “Rising Of The Dead” e la ormai miticia “Heavy Metal Maniac”, altro pezzo che ha generato tra i presenti una violenza che solo gli Slayer ed i Pantera avrebbero potuto generare. Rivedere sul palco gli Exciter, dopo tanti anni d’assenza dall’Italia, mi ha fatto ritornare adolescente. L’unico dubbio che avevo era su come avrebbero suonato con la nuova formazione. Ma devo dire che sono contento di essere stato smentito. La nuova formazione con alla voce Jacques Belanger, John Ricci (ex White Zombie) alla chitarra, Rob Cohen al basso e Rick Charron alla batteria ha dato vita ad uno show veramente terrificante ed ha messo letteralmente a ferro e fuoco il Tradate Iron Fest, lasciando dietro di sé solo terra bruciata. Speriamo solo di non dover aspettare altre dieci anni per rivederli ancora in Italia.
Anvil (Mattia Berera)
È giunta l’ora degli storici Anvil, gruppo forse poco noto ma che, a distanza di 28 anni dalla sua nascita, solca ancora i palchi del pianeta terra facendo assaporare brani di puro metal primordiale alternati a canzoni un po’ meno classiche vicine al thrash, segni che testimoniano l’evoluzione di una band che comunque non si allontana mai troppo dai confini dell’heavy metal tradizionale.
Lo show si apre con la strumentale “March of the Crabs” seguita da 666, entrambe tratte dal leggendario “Metal on Metal” del 1982.
Nonostante l’orario, 16:00 circa, anche per loro il tempo a disposizione non è per niente tirato, indice di una buona organizzazione; in un’ora di tempo la band capitanata dal cantante/chitarrista Lips riesce a proporci 8 brani, oltre alle 2 precedentemente citate troviamo in ordine “Mothra”, “Forged in Fire”, “Smokin’ Green”, “White Rhino”, “Winged Assassins” e il cavallo di battaglia “Metal on Metal”. Quest’ultima, che dovrebbe essere la hit degli Anvil, a mio parere è la peggiore all’interno della scaletta, musicalmente non è neanche male se non fosse per la buffa linea vocale.
In conclusione direi che seguendo questo gruppo che conosco veramente poco non mi sono emozionato in modo eccessivo, nonostante ciò devo riconoscere che i quattro metallari canadesi hanno portato a termine la loro missione in modo professionale e i fan, che il hanno accolti calorosamente, hanno continuato ad acclamarli allo stesso modo per tutta la durata della prestazione.
Onkel Tom (Simone Bonetti)
Ecco finalmente anche in Italia la creatura birraiola di Tom AngelRipper, cantante dei Sodom. Scelta un po' azzardata perchè loro non sono molto conosciuti qui data la difficile reperibilità dei cd e il cantato in lingua madre. Comunque sotto il palco si possono contare veramente tanti presenti che durante tutta l'esibizione si divertiranno trascinati da una band che sul palco ci sà veramente fare, grazie anche a canzoni veramente divertenti e festaiole, un'ottima miscela di punk, rock e canti popolari da osteria. Divertenti i vari siparietti di tutto il gruppo con bassista e chitarrista che si rincorrono o Tom che invita alcuni ragazzi a salire sul palco per cantare con lui. Il pubblico si diverte e la band anche, anzi, sembra quasi stupita della calorosa accoglienza ricevuta. Personalmente uno dei concerti che ho gradito di più del festival.
Destruction (Mattia Berera)
18:20 circa, tutto è pronto per accogliere un trio che assieme a Sodom e Kreator fa sventolare la bandiera del thrash teutonico che durante gli anni ’80 ha tenuto testa al fruttuoso metal bay area.
Mentre alcune band statunitensi stanno ormai spudoratamente mentendo sul fatto di tornare al vecchio e ottimo stile, i più metodici tedeschi riescono invece a regalarci delle perle che ci fanno ancora assaporare quel particolare gusto di grezza genuinità che caratterizzava il thrash eighties.
Comunque visto che stiamo parlando del Tradate Iron Fest meglio concentrarsi sui Destruction, i quali sono probabilmente quelli che all’interno della triade rispettano in modo più rigoroso le antiche leggi contenute della costituzione “tum-pa up-tempo”.
Ed ecco che lo show ha inizio, per quanto riguarda l’audio la partenza lascia un po’ a desiderare, la chitarra è a volume troppo basso e il suono non è il massimo; pian piano migliora anche se rimane sempre un tantino confuso non permettendo ai non conoscitori del complesso tedesco di apprezzare questa band dalle ottime qualità.
Tuttavia per quelli che come me possiedono una discreta conoscenza dei Destruction, c’era senz’altro di che divertirsi: “Thrash ‘til Death”, “Curse the Gods”, “Mad Butcher”, “Nailed to the Cross”, “Life without Sense” sono alcuni dei noti titoli che costituiscono la scaletta dei thrasher per questo succulento Tradate Iron Fest 2005.
La band ha svolto un buon lavoro, sia per quanto riguarda l’aspetto esecutivo che per la scelta dei brani; credo che l’unica pecca sia stata la qualità del suono che ha penalizzato i nostri beniamini borchiati, comunque sicuramente contenti ed appagati per aver partecipato a uno spettacolo internazionale come questo, un festival ben organizzato che ha visto la presenza di svariate band, gruppi di nicchia e autorità che susseguendosi on stage hanno messo assieme un’equipe completa e variegata per accontentare tutti i palati.
Dissection (Massimilano Garlaschelli - www.metalinside.it)
Dopo un soundcheck abbastanza lungo finalmente arriva il momento dei Dissection, che sulle note della maestosa "At the fathomless depths" fanno il loro ingresso sul palco.
La partenza è affidata a "Frozen" e subito si vede che la band è in un buono stato di forma con un Jon veramente esaltato e carismatico, infatti è lui il vero trascinatore mentre gli altri membri della band fanno bene il loro dovere, ma sono lontani anni luce dal carisma che riesce a emanare Jon.
La scaletta visti i tempi più brevi purtroppo non è completa e imponente come quella del tour dello scorso novembre, da "Storm of the light's bane" vengono svolte "Night's blood" (suonata in maniera strepitosa!!!), "Soulreaper", "Where dead angels lie", "Retribution-storm of the light's bane" e la mitica "Thorns of crimson death"; da "The somberlain" la sopracitata "Frozen", "Heaven's damnation" e la fantastica titletrack, non poteva mancare poi "Maha Kali" che comunque è stata accolta più freddamente dai presenti. Peccato per la non esecuzione di almeno un brano che andrà a comparire sull'attesissimo prossimo album della band.
La prestazione è stata veramente ottima accompagnata da suoni più che buoni, purtroppo a rovinare in parte la prova dei nostri ci ha pensato un fottuto problema alla chitarra di Jon che ogni tanto andava ad intermittenza, un problema che mi ha fatto abbastanza incazzare e come me penso molti dei presenti, che comunque hanno sempre supportato la band con cori e applausi.
Un concerto veramente ottimo, adesso non ci resta che aspettare il prossimo album della grandiosa band svedese per vedere se riusciranno a ripetersi ai livelli sublimi del passato.
Candlemass (Mattia Berera)
Candlemass, una band capostipite del doom metal è il penultimo gruppo di questi cinque giorni di metallo che hanno animato la tranquilla cittadina di Tradate.
Per la prima volta nel nostro paese, il quintetto svedese ha a disposizione circa un’ora e mezza per far gustare ai metal kids italiani e stranieri il suo genere atmosferico ed evocativo. Con un po’ di vergogna devo ammette di non aver mai ascoltato nulla di un gruppo di tale spessore, comunque la mia passione per King Diamond e Mercyful Fate fa sì che la mia attenzione venga subito catturata dalla figura del cantante Marcolin che come di rito entra in scena con la tonaca da frate.
Candle si fa largo tra le chiacchiere dei numerosi accorsi, i quali interrompono qualunque tipo di relazione sociale per lanciare lo sguardo sul palco. Il suono, buono sin dall’inizio, permette al complesso svedese di dare il meglio di sé regalandoci una dozzina di pezzi pescati qua e là tra i fiori sbocciati durante la sua più che ventennale carriera, non del tutto priva di piccoli incidenti.
“Mirror Mirror”, “Dark Reflections”, “Solitude”, “Copernicus”, “Samarithan” sono solo alcune delle grandi canzoni sfornate per l’occasione, un’occasione unica e veramente appagante. I cinque suonatori non steccano una nota, il bassista Leif Edling (nonostante sia inciampato cadendo on stage…) dirige con maestria la sua orchestra e il singer Jan Bror Alfredo “Messiah” Marcolin possiede un carisma non da tutti, una vera creatura da palcoscenico, assatanato e posseduto dalle sensazioni che una musica caratteristica e particolare come quella dei Candlemass può trasmettere.
Sono rimasto particolarmente colpito da questa prestazione, la mia opinione su questa performance è più che positiva e credo che presto inizierò il lungo viaggio per esplorare la via tracciata dall’82 a oggi dai Candlemass, I’ll be doomed!
Dio (Lorenzo Canella)
Spetta a Ronnie James Dio ed alla sua omonima band concludere un festival decisamente ben riuscito ed il folletto, anche se non più esattamente nel fiore degli anni si dimostra di certo all’ altezza. “Killing The Dragon” si assume il compito di aprire il concerto, l’esecuzione è senza dubbio di buon livello, l’unica pecca sta nel chitarrista Craig Goldie che (sarà per una dubbia scelta di chitarre), non riesce a tirar fuori un suono ottimale dalla sua fila di Marshall. La pecca viene però coperta da una sezione ritmica assolutamente eccellente composta da Rudy Sarzo al basso e Simon Wright (che pur provenendo dagli Ac\Dc ha dimostrato di sapersi ben adattare).
Purtroppo le turbinose condizioni climatiche che hanno favorito molto i Candlemass dal punto di vista scenico, volgono in pioggia all’altezza di “Stand Up And Shout”, uno dei primi pezzi; molti tra gli spettatori fuggono sotto i tendoni, altri si coprono con teli e sedie, molti altri però resistono ammaliati dalla voce di Sua Maestà. Nella scaletta trovano spazio pezzi storici, come la riuscitissima “Don’ t Talk To Strangers” nonché la memorabile “Holy Diver”, come pezzi dei Rainbow, Tra cui “Man On The Silver Mountain” e dei Black Sabbath, “Heaven And Hell”.
La prestazione non cala di un centesimo durante tutta la (consistente) durata del concerto, anzi, il suono di Goldie migliora leggermente. La cosa impressionante è il fatto che la voce di questo nano con la testa grossa invece che affievolirsi col passare del tempo diventa sempre più carica. Spettacolo assolutamente degno di nota e se posso, consiglio una volta in più a chiunque ne abbia la possibilità di andare a vedere un suo concerto.
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Report a cura di Staff
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