A distanza di due anni dalla loro ultima calata italica tornano gli Agalloch, questa volta al Colony di Brescia, dove per l’ennesima volta c’è stato un “attestato d’amore” da parte dei fans italiani, intervenuti in buon numero, ai quattro di Portland, che dalle nostre parti godono da sempre di ottima fama, meritatamente aggiungo io.
Ad aprire sarebbe toccato ai francesi Crown, ma per cause di forza maggiore non hanno potuto intraprendere questo tour dall’inizio, quindi a scaldare le orecchie ci ha pensato John Haughm, leader degli Agalloch, con il suo progetto solista, che consisterebbe nel musicare con la sola chitarra e i suoi mille effetti paesaggi desertici tristi e desolati. Devo dire di non essere minimamente un amante di questo tipo di sonorità alla Sun 0))) (non la stessa cosa ma solo per dare un’idea), anzi, mi sembra solo un modo per avere le orecchie che fischiano infastidite per qualcosa di inutile. Quindi senza mezzi termini ammetto di essermi rotto le palle per mezz’ora senza aver provato nessun brivido sulla pelle ecc…, non me ne voglia il buon John, ma sa fare ben altro.
Finalmente dopo un breve cambio di palco, John si presenta ancora ma accompagnato dai suoi fidi compari per offrirci il solito e grandioso concerto degli Agalloch. E’ dell’anno scorso l’uscita di “The serpent & the sphere”, album che, come un pochino il precedente “Marrow of the spirit”, ha diviso i fans, tra chi ha visto l’ennesimo capolavoro e chi invece un leggero calo qualitativo. Io faccio parte dei secondi, ammettendo però che si parla sempre di un disco superiore a buona parte delle uscite odierne e che, pur non trovandolo brillantissimo e un po’ noiosetto, ha un suo perché e ci può stare un calo dopo aver sfornato dischi della qualità dei primi tre. Detto questo passiamo al concerto, dove i nostri hanno dimostrato ancora una volta tutta la loro classe e capacità, cresciute ulteriormente anche grazie all’esperienza raggiunta con i molti concerti dell’ultima decade. Cosa poi non secondaria sfido a trovarmi una band del settore che si esibisce per ben due ore, senza mai perdere colpi a livello esecutivo e di coinvolgimento. Come detto gli Agalloch hanno suonato alla grande, con davanti un pubblico che non ha mai cessato di supportarli con calore e passione; ne è venuto fuori un concerto che sicuramente i presenti ricorderanno a lungo, anche l’acustica ha aiutato, i suoni sono stati pressoché perfetti! Per quel che mi riguarda i momenti più belli sono stati le splendide “The melancholy spirit” e “… and the great cold death of the earth”. Non da meno però anche le varie “Limbs”, “Falling snow”, “Into the painted grey”, “Ghost of the midwinter fires” e anche le nuove “The astral dialogue”, “Dark matter gods”, “Vales beyond dimension” o “Plateau of the ages”, che dal vivo, devo dire, hanno la loro resa pur non apprezzandole del tutto come le altre. Insomma, per chiudere, gli Agalloch hanno dimostrato ai presenti che tutto l’entusiasmo è stato speso bene, la band di Portland sa bene come lasciare il segno! Alla prossima!
Report a cura di Max Garlaschelli
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