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Paradise Lost + Lucifer - 11/2/2015 - Live Club - Trezzo sull"Adda (Mi)

Unica data italiana in quel di Trezzo sull’Adda per i padrini del goth metal (quello puro, da non confondere con quello più zuccheroso arrivato dopo…), per l’occasione accompagnati dai tedeschi Lucifer. Serata che a livello musicale è andata veramente bene, ma l’affluenza, discreta, non è di certo stata quelle delle grandi occasioni, ma si sa che di lunedì la gente fatica a muoversi!

In orario perfetto sulla tabella di marcia salgono sul palco i Lucifer, usciti quest’anno con il debut “Lucifer 1” e che vedono in formazione gente più che rodata come Gaz Jennings (ex- Cathedral) o la brava cantante Johanna Sadonis (ex The Oath). Cosa aspettarsi da loro? Ma che logica: Doom, come ben insegnato da Black Sabbath o Pentagram. Non avevo ascoltato niente del quartetto (non me ne vogliate, ma non si può stare dietro tutto a quello che esce…) e devo dire che la band mi ha fatto una bella impressione, con una prova convincente e gradevole, anche se l’originalità, questa sconosciuta! Ma poco importa, i nostri abbandonano il palco tra gli applausi dei presenti. Unica nota personale per la cantante, ma più in generale non solo per lei: basta con quel cavolo di tamburello con sonagli ( o come cavolo si chiama)!

Dopo una mezz’oretta dalla prova dei tedeschi tocca agli headliner, gli inglesi Paradise Lost, autori quest’anno dell’ottimo “The plaghe within”, disco che dimostra come i nostri, dopo le sperimentazioni di metà carriera, piano piano sono tornati alle origini, senza per questo dimenticare tutta la strada fatta, un disco quindi che racchiude un po’ tutto quello che sono i Paradise Lost e la loro più che ventennale carriera. Non avendo visto dal vivo Holmes nei panni di vocalist dei death metallers svedesi Bloodbath, ero curioso quindi di vedere la sua resa con il ritrovato growl, presente massicciamente anche su “The plaghe within”, devo dire di essere rimasto più che soddisfatto, l’esperienza Bloodbath ha fatto bene al buon Nick, che comunque si è destreggiato ottimamente anche per il tutto il resto, compreso il suo cantato Heatfildeniano, come mi piace chiamarlo, non di certo come critica. Il resto della band, Gregor alla chitarra su tutti, oramai, visti anche gli anni di esperienza, suona a memoria e senza sbavature ed ha tirato fuori dal cilindro una prestazione veramente ottima, grazie anche a dei suoni limpidi e potenti.
La scaletta ha visto per la maggiore estratti pescati dall’ultima fatica, decisione logica e che personalmente mi ha fatto piacere, vista la qualità di tale disco, cito le bellissime “No hope in sight”, “An eternity of lies”, “Return to the sun” o “Flesh from bone”, probabilmente la canzone più veloce mai scritta dai nostri e dimostrazione di come, anche Gregor, ci abbia preso gusto, grazie al suo ottimo progetto death metal Vallenfyre, a reinserire massicciamente parti più pesanti e vicine agli esordi nel nuovo disco della band madre. Non sono poi mancati estratti da un po’ tutta la lunga discografia degli inglesi, come le splendida “The painless” da “Gothic”, “Widow” da “Icon”, “Enchantment” da “Diaconia times” o “As i die” da “Shades of god” che hanno letteralmente scatenato l’entusiasmo dei presenti, senza dimenticare anche le varie “Erased”, “Requiem”, “Faith divides us – death united us” o la conclusiva “Say just words”.
Per chiudere, reputo grande la prova da parte dei Paradise Lost che si sono mostrati una band ancora nel pieno della forma, che ha molto da insegnare alle nuove generazioni.

Report a cura di Max Garlaschelli

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