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Gods of Metal - 6/11/2005 - Arena Parco Nord - Bologna

Al Gods di quest’anno è il giorno degli Iron Maiden, e l’attesa è molta per le decine di migliaia di spettatori (alla fine saranno quasi 40.000) arrivati a Bologna da ogni parte del nostro paese, e dei vari stranieri (basta citare la bandiera dell’Estonia che compariva ogni tanto tra il pubblico) giunti in Italia per vedere all’opera i loro idoli.
Arrivo all’interno di un arena già affollata mentre suonano gli americani Mudvayne, perdendomi così gli svedesi Evergrey di Tom Englund. La band statunitense non offre un gran spettacolo, complice anche il caldo e soprattutto dei suoni veramente di pessima qualità che contribuiranno a rovinare la resa delle varie band (in particolar modo gli Slayer) per tutta la giornata, il pubblico non sembra molto entusiasta.
Il gruppo, davanti comunque a un buon numero di curiosi e di fan, si esibisce con brani del loro nuovo album “Lost and Found”, come “Happy?” o “Pushing Through”, alternandoli a pezzi vecchi quali “Dig”. A quanto poi mi è stato riferito (il sottoscritto stava andando a mangiare) il cantante in un eccesso di esibizionismo (e di follia) rovina una prova già non irresistibile spaccandosi il microfono sulla fronte, andando così a sangue.

Dopo i nu-metallers americani tocca ai loro compatrioti Mastodon, che dovevano già venire in tour a Milano a febbraio, ma si erano poi visti costretti ad annullare la data. Nel momento più caldo della giornata (siamo in piena ora di pranzo) il quartetto non riesce a risollevare il tono del festival, sempre grazie a dei suoni piuttosto confusi e forse anche ad una scarsa forma della band, che in studio invece ha dimostrato di avere una certa qualità.
Buona comunque la prova del gruppo in “Aqua Dementia” ed “Iron Tusk”, tratte dall’ultimo disco “Leviathan”, da cui eseguono anche “Blood and Thunder”, “I am Ahab” e “Seabeast”. Purtroppo però la loro prestazione non è certo delle migliori e gli spettatori sembrano più interessati a trovare un posto in cui riposarsi all’ombra aspettando qualcosa per cui valga la pena di tuffarsi nella mischia.

Aumenta il pubblico e all’una e mezza salgono sul palco gli inglesi Dragonforce. La band mostra una buona carica e gran parte della gente, almeno all’inizio, sembra apprezzare il loro power metal melodico (nonostante gli alti volumi che rendevano un po’ caotico il tutto), attraverso i loro cavalli di battaglia quali “Valley Of The Damned”, dall’omonimo album come “Black Winter Night”, “My Spirit Will Go On” e “Soldiers Of The Wasteland”, questi ultimi tratti invece dal secondo e ultimo disco realizzato dalla band, “Sonic Firestorm”.
Dopo però circa metà dello show degli inglesi, il pubblico, un po’ per il caldo che da ancora fastidio un po’ per la noia, (canzoni melodiche di 7-8 minuti sotto il sole a quell’ora possono anche conciliare una bella dormita) abbandona l’area sotto il palco per la più comoda (e ancora quasi pulita, dato che poi diventerà un immondezzaio) collinetta di fronte, lasciando davanti solo i sostenitori più convinti.

Passata quasi un’ora di Dragonforce è il momento della prima tra le band più attese della giornata: Devin Townsend ed i suoi Strapping Young Lad. Anche se di poco, i suoni sembrano leggermente migliori (pur essendo comunque non all’altezza) ed il gruppo del folle singer canadese investe un pubblico già più numeroso con la sua potenza, grazie anche alle mazzate che scarica il drummer Gene Hoglan (ex Death e Testament per rendere l’idea).
I SYL offrono comunque una buona scaletta, con brani tratti soprattutto dal nuovo “Alien”, come “Imperial”, “Skeksis”, “Shitstorm” e “We Ride”, e dal loro maggior successo “City”, vedi “All Hail The New Flesh”, “Oh My Fucking God”, “Detox” e “Velvet Kevorkian”, esaltando così i fans accorsi a vedere dal vivo l’originale creatura di quello che è stato il cantante di Steve Vai. Più trascurati “SYL” ed il debutto “Heavy As A Really Heavy Thing”, ma tolti i problemi ormai consueti e già citati, nel complesso la prova della band canadese riesce almeno in parte a soddisfare gli spettatori.

Nel frattempo la gente si fa sempre più numerosa (sono molti infatti quelli che arrivano nel tardo pomeriggio essendo interessati solamente a Slayer ed Maiden) e sotto un cielo che si è annuvolato dando un po’ di respiro ai presenti, a metà pomeriggio tocca agli americani Obituary. La band, molto attesa dai seguaci del death metal estremo, pare in discreta forma, nonostante siano oramai passati otto anni dal loro ultimo studio album. Specialmente la prova del singer Tardy risulta convincente, con la sua inconfondibile voce aggressiva come un tempo.
In generale però il pubblico rimane abbastanza deluso dall’esibizione del gruppo statunitense non tanto per quanto fatto dal quintetto, ma, oltre al solito problema, contribuisce in gran parte una scelta dei brani non molto azzeccata, saltando alcuni dei loro pezzi migliori, e scontentando così un po’ tutti, mentre è stata eseguita anche una canzone (di cui non ricordo il titolo) dal prossimo “Frozen In Time”, che non è parsa granché entusiasmante.

Alle cinque e mezza, mentre il cielo si sta nuovamente rasserenando (così da rassicurare chi temeva la pioggia per i Maiden), è il momento dell’unico gruppo italiano della giornata, i Lacuna Coil. Ha fatto molto discutere la posizione in scaletta della band nostrana, che ha il compito di aprire per gli Slayer ed i grandissimi Iron Maiden, ma la band della bella Cristina Scabbia si ritrova a fare i conti con la famosa accoglienza del pubblico del Gods Of Metal, che quando non apprezza un gruppo non ha affatto problemi a farlo capire in modo più che esplicito. Infatti molte delle persone sotto al palco (tra cui gente già ubriaca) si trovavano lì solamente in attesa dei gruppi seguenti, e già dalla prima canzone sono volati non solo insulti verso la band e apprezzamenti poco educati nei confronti della cantante, oltre a cori inneggianti a Slayer ed Iron, ma anche bottiglie, sassi e oggetti di vario tipo. Tant’è che l’orgoglio del gruppo milanese di suonare davanti a tanta gente nel proprio paese si è così tramutato in vergogna per gli incivili che devono sempre far fare la solita figura all’Italia, ed è un vero peccato che uno dei pochi gruppi nostrani che ha ottenuto un certo successo, anche se può piacere o meno, venga trattato in questo modo proprio quando gioca in casa.
Comunque la band apre con “Swamped”, tratta da “Comalies”, passando poi ad “Unleashed Memories” con “Senzafine” e “When A Dead Man Walks”, in uno show (disturbato come detto dal comportamento del pubblico e dal lancio di qualsiasi cosa) che privilegia gli ultimi due lavori della band, con brani come “To Live Is To Hide”, la famosa “Heaven’s A Lie”, “Tight Rope” e “Daylight Dancer”, mentre viene poi eseguito, contrariamente al volere degli spettatori, un brano nuovo.
Sta di fatto che anche i fan della band che hanno seguito lo spettacolo non sono rimasti troppo soddisfatti da quanto fatto da Cristina e soci, che sembravano un po’ fuori forma già per conto loro. Probabilmente stanchi di suonare davanti a un pubblico non certo tollerante nei loro confronti, l’esibizione termina con una ventina di minuti d’anticipo.

Così mentre la gente si avvia ad una lunga fila per la cena viene preparata la scena per gli Slayer, allestito con sullo sfondo la copertina di “Reign in Blood”. Verso le sette e mezza salgono così sul palco i thrasher americani, ma è qui che la qualità del suono, unita ad una prova comunque non certo delle migliori da parte del quartetto statunitense, tocca il livello più basso. Lasciamo stare infatti l’ormai consueto “effetto rimbombo” e tutto il resto, ma già dalle prime canzoni spesso e volentieri saltano le chitarre (soprattutto quella di Hanneman), a volte si sente praticamente solo la batteria o addirittura il basso di Araya (quest’oggi con un inedito barbone), che per di più è praticamente senza voce, così il gruppo si deve fermare per ben due volte, mentre i tecnici cercano di sistemare con scarso successo i problemi e la band è sempre più incazzata.
Nonostante tutto questo, già dall’intro iniziale “Darkness Of Christ” e la successiva “War Ensemble” si riempie tutta la zona davanti al mixer, con un polverone che aumenta e diminuisce a seconda del pogo, rendendo spesso difficile vedere il palco.
Buona invece la scelta dei brani proposti, oltre infatti ai classici come “Raining Blood” e “Angel Of Death” (sulle quali si scatena l’inferno) o ancora “South Of Heaven”, “Hell Awaits”, “Postmortem” (tralasciando però quel capolavoro di “Seasons In The Abyss”), vengono suonati pezzi estratti da tutta la discografia: si passa infatti da “Show No Mercy” con la titletrack e “Black Magic”, a “South Of Heaven” con “Mandatory Suicide” e “Silent Scream”, passando a canzoni come la più recente “Disciple”, e brani suonati più raramente dal vivo come “At Dawn They Sleep” e “Blood Red”. Una scaletta che esalta comunque i fan nonostante i numerosi problemi evidenziati, senza trascurare “Dead Skin Mask”, tra le canzoni più apprezzate dal pubblico, “Chemical Warfare” e “Necrophiliac”, mentre unico estratto da “Diabolus in Musica” è “Stain of Mind”.
Una prestazione comunque rovinata soprattutto dai suoni e dagli inconvenienti tecnici, mentre oltre a tutti quei pezzi che andavano a ripercorrere l’intera discografia della band, sarebbe stato bello sentire almeno una canzone nuova, dato che dovrebbe uscire a breve il nuovo disco, a ormai quasi cinque anni da “God Hate Us All”. Come già detto la voce di Araya non è certo quella dei tempi migliori, mentre più in forma erano King e soprattutto Lombardo.

Si avvicina dunque il momento tanto atteso dalle circa 40.000 persone che riempiono l’arena, trovare un buco libero è veramente difficile e tutti stanno aspettando con ansia l’entrata in scena degli Iron Maiden, ormai nel pieno del loro “Eddie Rips Up The World Tour”, il tour di supporto al loro dvd “Early Days”, ed è per questo motivo che questa sera la band inglese, mostro sacro dell’heavy metal, si esibirà in brani estratti unicamente dai primi quattro album, da “Iron Maiden” a “Piece Of Mind”.
Bisogna attendere qualche minuto più del dovuto, ma quando si spengono le luci e parte “The Ides Of March” tutta l’arena si infiamma, mentre Bruce e gli altri fanno il loro ingresso sul palco. Sullo sfondo la copertina di “Killers”, e subito si parte con “Murders in The Rue Morgue”, con Dickinson che è già caricatissimo, e tutta l’arena che canta assieme a lui. Cambia l’effetto delle luci e si passa così ad “Another Life” e poi ad “Iron Maiden” con “Prowler”, mentre il pubblico si scatena sempre più davanti ad una band veramente in ottima forma che viene però anch’essa penalizzata da dei suoni scadenti e con l’audio che salterà più volte. Nonostante tutto questo Bruce si comporta ugualmente da gran professionista e (escluso un insolito numero di insulti, che fanno capire che forse non è proprio di buon umore) continua cercando di offrire il massimo ai suoi fans.
Ecco così “The Trooper”, con il singer inglese che scorrazza in divisa da ogni parte del palco agitando la bandiera del suo paese, mentre i tre chitarristi Murray, Smith e Gers, assieme a Steve Harris, si scambiano continuamente di posizione. Con un pubblico piacevolmente sorpreso arriva “Remember Tomorrow”, nella cui intro sono in molti a muovere in aria gli accendini, mentre tutti seguono attentamente i loro idoli.
Con la classica “Run To The Hills” si tocca per la prima volta nella serata “The Number Of The Beast” ed in 40.000 ci si trova a cantare in coro mentre l’atmosfera entra sempre più nel vivo, grazie anche ad un Bruce che si dimostra in ogni caso un vero e proprio trascinatore (più volte incita il pubblico con un semplice “Scream for me Bologna”), pieno di energie e con grandissima grinta. Si susseguono gli scenari sullo sfondo, con vari effetti di luce ben coordinati fra loro e con il ritmo delle canzoni, ed eccoci di nuovo a “Killers” con “Wrathchild”, con il pubblico che canta all’unisono, passando poi per “Revelations”, su “Piece Of Mind”, come le successive “Where The Eagles Dare” e “Die With Your Boots On”, in una serata che rappresenta un’occasione unica per ascoltare dal vivo canzoni di solito trascurate in favore di brani più famosi.
Prima di un altro capolavoro come “Phantom of The Opera”, Dickinson, tra gli applausi, ricorda al pubblico che è stata la prima canzone cantata da lui in Italia coi Maiden nel lontano ’85, ma siamo ancora a circa metà dello show ed ecco infatti che già dalle prime note del pezzo seguente gli spettatori si scatenano, se possibile, ancor più di prima, un’unica voce nel cantare il ritornello di un altro brano storico, sicuramente tra i migliori mai realizzati dalla band: si tratta di “The Number Of The Beast”. Il palco si colora di rosso per effetto delle luci e compare sulla sinistra davanti allo sfondo un grosso diavolo seduto che muove la testa investendo col suo sguardo luminoso il pubblico sottostante. Questo è solo uno degli effetti scenici della serata, più tardi ad esempio si vedrà infatti salire dietro alla batteria di McBrain un busto di Eddie con la testa scoperchiata, nella quale verrà inserito il cervello per essere poi richiusa.
Stesso album ma cambia la canzone, precisamente “Hallowed By Thy Name”, mentre l’instancabile Bruce, Harris e soci continuano a spendere energie sul palco, saltellando e muovendosi in ogni direzione possibile. Alla fine, quando si spengono le luci per la pausa, alcuni spettatori credono sia finito il concerto e si avviano increduli all’uscita, salvo poi rientrare di corsa alle prime note di “Iron Maiden”, al termine della quale Gers fa roteare il suo strumento per il filo, lanciandolo più volte in aria. E’ ora il momento di un altro classico tratto dall’album di debutto, “Running Free”, con gran coinvolgimento del pubblico che si alterna a cantare il ritornello col singer inglese, per tornare poi a “Killers” con “Drifter”.
Per concludere in bellezza ecco “Sanctuary”, dove entra in scena il pupazzo di Eddie, di cui come al solito i vari membri si prendono gioco chi girandolgi attorno, chi passandogli sotto le gambe o “scimmiottandone” i movimenti. La canzone viene in seguito interrotta dalle presentazioni dei membri della band da parte di Dickinson, per terminare infine con i saluti di rito uno show che, suoni a parte, si è mostrato veramente degno della fama che gli Iron si sono creati negli anni, nonostante lo spettacolo termini con una ventina di minuti d’anticipo. La grande massa del pubblico, investita da grandi ondate di polvere, abbandona così l’arena accalcandosi all’uscita ancora prima delle undici e mezza.

Questo è il bilancio della prima giornata di questa edizione del Gods, segnata da problemi che hanno inciso sulle prestazioni delle band in programma, ma in cui, come prevedibile, un grande afflusso di gente si è presentato al parco nord di Bologna, richiamati da un nome storico come quello dei grandissimi Iron Maiden, supportati dagli Slayer, e da altre band attese dal vivo come Obituary, SYL, o Mastodon, che hanno più o meno convinto o deluso i fan presenti e chi per la prima volta ha fatto conoscenza di questi gruppi, mentre la solita figura dell’”italietta” incivile è stata provata sulla pelle dai Lacuna Coil.
Sta di fatto che difficilmente senza un gruppo come gli Iron si avrebbero avuti così tanti ingressi (senza contare che sarebbe potuta esserci ancora più gente senza l’Heiniken a Imola), e non sarà certamente facile riportare 40.000 persone alla prossima edizione del festival.

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Report a cura di Marco Manzi

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