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Gates of Metal (Sabato) - 8/6/2005 - Folkets Park - Hultsfred (Svezia)

La mattina di sabato aveva fatto temere il peggio, ci svegliamo infatti sotto una pioggia che non aveva l'aspetto di un temporale di passaggio, fortunatamente a queste latitudini il tempo cambia di continuo e, nemmeno a farlo apposta, smette di piovere poco prima dell'apertura dei cancelli. Il bel tempo continuerà per quasi tutto il giorno tranne che verso la fine del concerto degli Edguy per poi protrarsi per quasi tutta la durata dell'esibizione degli Amon Amarth che, essendo al coperto, non viene minimamente compromessa e riusciamo ad assiestervi in tutta tranquillità.

Moonsorrow (Paolo Manzi)
Spetta ai finlandesi il compito di aprire la giornata vera e propria del festival, quella di ieri era stata solamente una sorta di appetitoso antipasto, oggi comunque si fa sul serio.
La band capitanata dai cugini Sorvali, Henry in primis, fa la sua comprasa come di consueto con i volti ricoperti di sangue, finto si spera, ed apre sulle note di "Jumalten Kaupunki/Tuhatvuotinen Perintö". Purtroppo durante questa canzone si riscontrano problemi audio, la chitarra di Sorvali sovrasta quasi tutti gli altri strumenti, mentre quella di Harvilahti quasi non si senta. Fortunatamente tutto si risolve in poco tempo ed il resto dell'esibizione non sarà più compromesso da alcun problema.
I Moonsorrow fanno bene il loro dovere sebbene sia stata estromessa dalla scaletta quella che secondo me è la loro miglior canzone in sede live, "Sankarihauta". Viene invece prediletta una set list dai toni più epici e dai ritmi rallentati. Ecco quindi passare "KyläN PääSsä" e "Kivenkantaja". Dal nuovo album "Verisäkeet" viene ripescata solo "Pimeä" anche perché i nostri hanno a disposizione solamente un'ora per la loro esibizione.
Purtroppo ho constatato che questo genere di canzoni ha molto più effetto su disco che non dal vivo, dove alla lunga tende a diventare troppo prolisso, per cui col passare del tempo il numero di ascoltatori si affievoliva sempre più. La mazzata finale la da "Sankaritarina" con i suoi quasi quattordici minuti, che dopo un'altrettando lunga "Pimeä", sfoltisce di parecchie unità il numero dei presenti. A risollevare il morale di chi come me ha voluto seguire il concerto fino alla fine ci pensano un'ottima "Aurinko Ja Kuu" e il gran finale "Pakanajuhla" unico estratto da Suden Uni.
Personalmente ho apprezzato comunque l'esibizione ma comprendo anche chi non avando una conoscenza approfondita della band e della sua musica ha ceduto vinto dalla noia e dall'ormai incalzante esibizione dei Dark Tranquillity che da queste parti sono molto seguiti e venerati.

Dark Tranquillity (Lorenzo Canella)
Dopo un quasi estenuante soundcheck esclusivamente per i microfoni, durato più di un quarto d’ora inizia finalmente la performance degli svedesi Dark Tranquillity e da subito ci si accorge che i microfoni sono… spenti! A parte quaesto piccolo disguido l’opening track del concerto “The Treason Wall” fa capire subito che la band è in giornata buona. Sarà il clima favorevolmente fresco, sarà l’aria di casa, ma i Dark Tranquillity sfoggiano la prestazione che definisco senza dubbio migliore fra le tre a cui ho potuto assistere. Il suono è ben equilibrato e compatto, i volumi sono ben amalgamati ed i vari elementi del combo danno evidente impressione di essere in sintonia. Dell’aspetto scenico si fa carico in particolare il cantante Stanne, però è necessario menzionare a questo proposito anche il bassista Nicklasson che, indossando una tronfia maglietta con su scritto “I’m a pornstar” si rende interprete di una parte piuttosto energica. Per quanto riguarda gli strumentisti spiccano in precisione i due chitarristi Sundin ed Enricksson (quest’ultimo particolarmente ispirato). Il tastierista Brandstrom passa un po’ inosservato, mentre il batterista Jivarp perde qualche colpo nelle esecuzioni di “The New Build”, tratta dall’ultimo album e di “Final Resistance”, del penultimo disco.
Per quanto riguarda la tracklist possiamo trovare una scelta di pezzi che da maggior spazio alla seconda fase del gruppo,: “ThereIn” e “The Sun Fired Blanks” da “Projector”, “The New Build” e “Lost To Apathy” da “Character” ed i due pezzi sopraccitati, provenienti da “Damage Done”, sono gli esempi meglio riusciti. Di certo “Punish My Heaven”, da una pietra miliare del gruppo, “The Gallery”, non è potuta mancare. Il pubblico di sicuro apprezza sia i pezzi nuovi che quelli più datati, esprimendo credo il massimo del calore possibile agli svedesi, ossia un certo headbanging ed un pogo che qui riterremmo piuttosto timido.

Sabaton (Paolo Manzi)
Devo ammettere che non conoscevo assolutamente questa formazione svedese e non sapevo minimamente che aspettarmi dalla loro esibizione, che per motivi di tempo non riesco comunque a seguire per intero.
Non ho trovato tuttavia molto entusiasmante quello che ho potuto vedere, il cantante si presenta come una pseudo copia di Rob Halford, se non nel taglio di capelli almeno nell'attitudine.
Il genere proposto è come avrete capito un heavy metal classico, con qualche influenza power di derivazione teutonica, che magari ascoltato su un album, l'ultimo "Primo Victoria" risale a pochi mesi fa, avrà anche un buon impatto, ma che in questa particolare occasione non spicca, sarà che lo standard delle altre band è decisamente su altri livelli. Ma questo concerto a mio avviso è il puntino nero che macchia l'immacolato festival.
L'esibizione si tiene sul palco coperto più piccolo, dove la sera prima si erano esibiti i Maze of Torment ma, al contrario questa volta il pubblico scarseggia, segno che probabilmente anche nella madre patria questi Sabaton non nutrono un grande seguito.

Masterplan (Lorenzo Canella)
Ecco uno dei gruppi che, pur conoscendolo poco, mi ispirava maggior curiosità frammista ad una vena di scetticismo.
I Masterplan sono formati da due ex membri della band power metal tedesca “Helloween”: Roland Grapow ed Uli Kusch, rispettivamente chitarrista e batterista. A provocarmi qualche sospetto è stato proprio il fatto della separazione che in questo momento pervaso da scioglimenti e reunion mi puzzava un po’. Fin dall’inizio del concerto ho dovuto accuratamente rivedere la mia opinione ed ora dico che se, indubbiamente, la separazione dei due dagli Helloween non è evento felice, certo la formazione di questo gruppo non deve passare inosservata.
La cosa che colpisce particolarmente di primo acchito è il fatto che, trattandosi di una formazione ad una sola chitarra (seppur supportata da una tastiera), l’impatto dell’onda sonora che i Masterplan riescono a scatenare non ha assolutamente nulla da invidiare a gruppi muniti di due axemen. Quasi scontati i complimenti al chitarrista Grapow.
A pari livello troviamo il batterista Kusch. Molto apprezzabile la sua prestazione non tanto per la tecnica (non per questo carente), ma per la personalità del suo modo di suonare. Non ho visto gli Helloween col nuovo batterista, ma assicuro che il suo compito di sostituto non è semplice. Molto molto buona anche la performance del frontman Jorn Lande, che ha saputo fondere un’esecuzione impeccabile con una presenza scenica davvero magnetica (quando i fotografi lo puntavano lui stava in posa fino allo scattare del flash!). Al basso un interessante Jan Eckert che ha accompagnato bene la band ed ha dato prova di eccellente dimestichezza col suo strumento in particolare durante il solo finale seguente la sua presentazione. In fine alle tastiere abbiamo visto Axel Mackenrott, quinto elemento più che onesto. Tra i pezzi eseguiti ricordiamo “Heroes”, “Wounds”, “Back For My Life”. Manca stranamente “Headbangers Ballroom”.
Non male la reazione dei presenti che però più che scatenarsi tendono a gustarsi il concerto in pace in modo da non perdersi alcuna nota.

Brainstorm (Paolo Manzi)
Quest'anno i Brainstorm sono un pò come il prezzemolo, a riprova che il loro nuovo "Liquid Monster" sta andando veramente bene. In principio non era prevista la presenza di questa band, chiamata solo pochi mesi fa a sostituire gli svedesi "Teräsbetoni" una sorta di band parodia dei Manowar. Ad ogni modo Andy B. e compagni offrono ancora una volta un'ottima prova in linea con quella tenutasi nemmeno due mesi fa al Tradate Iron Festival.
La scaletta risulta abbastanza simile a quella proposta a Tradate dove forse avevano avuto un pò meno tempo a disposizione per lo show.
I suoni si attestano subito su buoni livelli, e il pubblico che affolla lo stage si fa sempre più numeroso riempiendo per almeno 2/3 l'anfiteatro.
La set list viene principlamente incentrata su brani estratti dagli ultimi "Liquid Monster" e "Soul Temptation". Ottima l'esecuzione di "Highs Without Lows" così come "Inside The Monster" e "All Those Words". Buona anche la prova di Ralf Langer al basso, chiamato a sostiutire temporaneamente Andy Mailänder che per motivi di lavoro non è riuscito ad accompaganre il resto della band.

Children Of Bodom (Lorenzo Canella)
Un trepidante brulichio della folla preannuncia l’entrata in scena dei Children Of Bodom, gruppo che in tutta Europa sta crescendo di importanza a ritmi molto interessanti ed il cui chitarrista solista (e cantante ) Alexi Lahio sta diventando una sorta di icona della chitarra elettrica moderna. Essendo io pure chitarrista non nego di essermi portato via un pannolone con la speranza di averne bisogno.
Dopo una presentazione in stile cabaret anni trenta fa il suo ingresso l’ossequiata band che attacca con “Sixpounder”, seconda traccia dell’ultimo (ormai da un po’ troppo) album, con loro il pubblico arriva ad una delle sue massime espressioni di calore accennando anche qualche grido e pogando (anche se in modo sempre “rispettoso” del vicino). Le capacità del solista cominciano a manifestarsi subito da questo pezzo.
L’esecuzione generale non è impeccabile come ci si aspetterebbe, la miscela messa insieme dai musicisti pecca leggermente di precisione e si legge fra le righe una sorta di concitazione quasi ansiosa che serpeggia sotto i pezzi, come se la band stesse suonando trattenendo il fiato. I singoli componenti non mancano certo di capacità, sia il batterista Jaska Raatikanen che il bassista Henkka Soppala dimostrano di sapere il fatto loro, ma è evidente che i Children sono fatti per strumentisti dal carattere più solista. Un inchino in onore del tastierista Janne Warman la cui preparazione tecnica è quasi nauseante, basti pensare che mentre fa assoli a 3000 di metronomo parla e scherza con Lahio che in quel momento sta suonando le stesse identiche cose. Ancora una menzione allo stesso Lahio che è andato vicino a fare cose trascendentali. Una cosa che continuo a non apprezzare di questo gruppo è il fatto di relegare il secondo chitarrista, ormai da un po’ Roope Lavala (che peraltro vanta la militanza nei Sinergy in compagnia di Lahio e relativa signora) al semplice ruolo di fare le cose che Mr. Primadonna Lahio non riesce a fare contemporaneamente.

Grave Digger (Paolo Manzi)
I Grave Digger possono vantare un buon seguito anche tra le file dei metalkids svedesi, basti innfatti pensare che molti dei presenti nelle prime posizioni a ridosso del palco hanno anticipiatamente abbandonato il main stage durante la superba esibizione dei Children of Bodom per accaparrarsi i posti migliori.
Si apre immediatamente con "The Last Supper", title track dell'ultimo album, che dal vivo rende maggiormente. Il merito, molto probabilmente, va ricercato in modo particolare nell'ottima prestazione dell'ex Rage, Manni Schmidt.
Anche il resto dalla band non è certamente da meno, Chris Boltendahl con la sua incofondibile voce "cartavetra" riesce come sempre a far presa sul pubblico, anche se devo dire che i fans svedesi sono mediamente molto meno calorosi rispetto ai metallers mediterranei, addirittura a tratti risultano ancora più freddi dei tedeschi. Tuttavia al termine di ogni brano non mancano applausi, corna alzate e grida di consenso.
Dopo un'ottima "The Dark of The Sun" viene eseguita, con mia grande sorpresa, "The Grave Dancer", estratta da "Heart of Darkness" al posto della solita "Circle Of Witches". Sul finale si chiude coi classici che fanno impazzire un pò tutti i fan, partendo da "Kinight of The Cross", "Rebellion" e chiudendo come di rito con "Heavy Metal Break Down". Purtroppo viene sacrificata "Morgana le Fay" ma d'altronde qualche pezzo degli ultimi Reingold e The last Supper andavano per forza eseguiti. Restano comunque 60 minuti di puro heavy metal che hanno segnato una delle migliori esibizioni della giornata.

Edguy (Paolo Manzi)
Non ho quasi il tempo di sentire i saluti di rito dei Grave Digger che sul Main Stage si comincia con un'altro act tedesco. I nuovi alfieri dell'happy metal Edgy. Che si portano dietro come scenografia un enorme testa di demone, posizionato dietro le pelli di Felix e che erroneamente pensavo che facesse parte dell'attrezzatura dei Dimmu Borgir che avrebbero chiuso il festival.
Invece, pur non vedendoci un grande nesso col sound della band se non forse col titolo dell'ultimo album "Hellfire Club", quel tesolone cornuto risulterà essere proprio di proprietà del signor Sammet e compari.
Veniamo ora all'abbiglimamento del frontman, che si presenta al pubblico svedese munito di camicia Hawaiana a fiori, ghette "muccate" e cappello da Cow Boy. Creando da subito una certà ilarità ed un certo feeling coi presenti, con cui Tobi non perde tempo ad interagire.
In un'ora e mezza gli Edguy propongno tutti i migliori pezzi della loro discografia, da "Land of The Miracle", "Vain Glory Opera", "Tears of Mandrake" e "Out of Controllo". Mi è piaciuta in modo particolare l'esecuzione di "Arrows Fly". Immancabili gli stacchetti come il classico dove Tobias esegue alcuni tra i sui più acuti vocalizi facendoli ripetere dal pubblico, o un simpatico siparietto prima di "Babylon" dove il folle singer si cimenta in un'improbabile ma divertente imitazione / parodia della tanto amata da noi metallari Britney Spears.
Ovviamente non potevano essere tralasciati i brani di punta del nuovo "Hellfire Club" da cui sono stati estratti "Lavatory Love Machine", dove la band ha confermato di avere forti tendenze a manifestazioni di idiozia (nel senso buono) ed autoironia, toccando gli impensabili livelli raggiunti nel video. Ottima anche la prestazione di "Mysteria" e "The Piper Never Dies". Così come il pubblico ha dimostrato di gradire il solo di batteria di Felix Bohnke sulle note di "Imperial March".
E così passa un'altra ora e mezza con un'altra esibizioni fuori dall'ordinario, naturalmente sempre tenendo conto che siamo ad un festival.

Amon Amarth (Lorenzo Canella)
Molti ormai conoscono il quintetto svedese (e non proprio espansivo) di epic death metal e se molti ritengono codesto gruppo carico di spirito distruttivo e vichingo, altrettanti non lo tengono in considerazione più di una capra (con la quale in effetti il cantante Johan Hegg condivide alcuni tratti somatici) con una chitarra tra gli zoccoli.
Ed invece questo è stato un po’il concerto-rivelazione del festival, Amon Amarth a forza 11, tutti stracarichi, tutti preoccupantemente precisi e soprattutto, tutti incazzati neri!
Dopo un sample registrato in funzione di intro i cinque barbari attaccano Hultsfred con “An Ancient Sign Of Coming Storm”, che rischia di radere al suolo cose e persone e subito dopo “In Pursuit Of Vikings”, giusto per chi non avesse capito con chi stesse parlando.
Poco c’è da dire sui componenti, a livello tecnico senza dubbio spicca il batterista Fredrik Andersson la cui gran cassa credo turbi ancora i sogni dei presenti. I due chitarristi Olavi Mikkonen e Johan Sodeborg hanno suonato bene, precisi e martellanti, interessante la loro scelta di suoni, poco gain ed una timbrica comunque scarna che però sommata al basso di granito di Ted Lundstrom hanno ottenuto un risultato stupefacente. Tra i pezzi presenti in scaletta troviamo “Master Of War”, “Versus The World”, “Amon Amarth”, “Thousand Years Of Oppression” e “Bleed For Ancient Gods”.
In conclusione una “Victorious March” ed una “Death In Fire” che se le avessero sentite i vichinghi probabilmente si sarebbero chiusi in casa tremanti per la paura.

Dimmu Borgir (Lorenzo Canella)
A conclusione di un festival molto ben riuscito, se non altro per quanto riguarda la qualità delle esecuzioni dei gruppi, troviamo i Dimmu Borgir, gruppo che ha saputo dare un volto nuovo al black\gothic (da molti apprezzato, da altri per nulla) che si caratterizza tra le altre cose per la massiccia presenza di sovraincisioni e di tratti dalle caratteristiche sinfoniche che potrebbero, in teoria, rendere molto arduo il rendimento dei pezzi in sede live.
Ottima prestazione, invece anche per questo gruppo proveniente (e di questo ben felice) dalle fredde e misantropiche foreste della Norvegia che riesce a riproporre nel migliore dei modi le atmosfere create nei dischi senza perdere l’impatto live. Il gruppo propone con precisione i pezzi ed i suoni molto ben bilanciati, insieme a dei volumi ben calibrati fanno si che i vari strumenti non cozzino tra di loro ed il risultato di questo puntiglioso lavoro rende la performance assimilabile alla resa di un disco.
Dal punto di vista tecnico c’è da dire che i chitarristi Galder e Silenoz sembrano esser ben consci di quello che fanno e ciascuno compie il proprio dovere in modo ineccepibile. Spicca forse il bassista Vortex, più che per le capacità applicate al proprio strumento, per l’ottima voce pulita (non per niente vanta un passato nei Borknagar) che contribuisce molto alla buona resa delle atmosfere trionfalmente cupe e trascinanti che caratterizzano questo gruppo. Ovviamente importantissimo l’apporto di Mustis alle tastiere. Alla batteria sua maestà infernale Hellhammer che si commenta da solo. L’unico elemento che non riesce completamente nel suo compito è il vocalist Shagrath che a momenti rischia di strozzarsi durante una performance un po’ troppo ruvida. Si nota una scenografia un tantino scarsa per un gruppo del genere, tanto più in posizione di headliner, basti dire che la scenografia dehi Edguy era sensibilmente più opulenta.

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Report a cura di Paolo Manzi e Lorenzo Canella

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